Da mesi, mentre tace l’orrifico fronte mediatico della pandemia, subiamo l’ossessivo martellamento delle tragiche notizie dell’Ucraina invasa dalle forze armate russe.
Alcuni servizi a margine di questa guerra lacerante in piena Europa talora citano nessi storici tra Italia e Ucraina, definendo Odessa ‘Napoli ucraina’ per motivi alquanto labili (essenzialmente perché nel 1794 il fondatore della città, aiutato dalla locale comunità italo-levantina, fu l’ammiraglio José de Ribas, di origini spagnole, ma nato a Napoli, il quale agì per conto della zarina Caterina II, di cui pare fosse l’amante). E perché a Odessa fu scritta la canzone O sole mio…
Ma Odessa è gemellata con una sola città italiana: Genova.
Lo stesso premier ucraino Zelensky nel suo discorso al Parlamento italiano ha citato più volte Genova, paragonandola alla martoriata Mariupol (importante città portuale sul Mar Nero, peraltro gemellata – e non a caso – con un’altra città ligure: Savona).
Le motivazioni profonde di questo accostamento (“Pensate come sarebbe la vostra bella Genova sotto i bombardamenti, come la nostra Mariupol“) sono sfuggite in genere ai commentatori.
Ma sono almeno di due ordini. Il più perspicuo (ma in realtà anche questo perlopiù ignorato) è riconducibile ai gravissimi danni bellici subiti da Genova durante la seconda guerra mondiale. La principale città portuale e industriale italiana di allora fu oggetto di ripetuti e devastanti bombardamenti alleati: ben 86 aerei e due navali (di cui il secondo, quello del 9 febbraio 1941, fu tremendo).
Bombardamenti, come quelli su Mariupol, mirati alle infrastrutture portuali, viarie e industriali, ma anche ai quartieri di civile abitazione.
Oggi non ce ne accorgiamo grazie ai minuziosi restauri intervenuti nel Dopoguerra in molti palazzi e chiese del Centro storico, che resta incredibilmente compatto sul piano urbanistico (uno dei più grandi d’Europa e Patrimonio dell’Umanità), nonostante i vari sventramenti impietosi condotti tra anni ’50 e ’70 del ‘900 in aree popolari sinistrate come Portoria o via Madre di Dio, ove sono poi sorti anonimi insediamenti moderni della ‘City’ genovese.
Ma il tessuto metropolitano ricostituito, sotto una convincente apparenza di congruità, conserva dolorose cicatrici.
Il secondo ordine di motivi, ben più pregnanti, riguarda un’altra pagina dimenticata, a livello generale, della storia di Genova: quella delle sue colonie medioevali d’Oltremare.
Un fenomeno che nel quadrante geopolitico del Mar Nero maturò otto secoli fa.
E che ha fatto così commentare il discorso di Zelensky al linguista Fiorenzo Toso, come ha riportato Genova Today: “Nel secolo XIX, a molti secoli di distanza dalla caduta delle colonie genovesi del Mar Nero in mano ai Turchi, i rapporti commerciali con quei territori continuavano, e si erano anzi sviluppati, soprattutto per l’importazione del grano proveniente dall’Ucraina. Furono questi commerci a fare la fortuna dei pastifici liguri. Una delle mete principali del traffico mercantile tra la Liguria e la costa settentrionale del Mar Nero era la città di Berdjansk, il cui nome purtroppo è tornato oggi di attualità in un momento estremamente difficile. In lingua genovese dell’epoca, il grano proveniente dall’Ucraina prendeva proprio il nome di quella città, ‘a berdiansa‘, come ci conferma l’edizione del 1876 del Dizionario Genovese-Italiano di Giovanni Casaccia“.
Così concludendo: “Nell’immaginario storico-culturale degli Ucraini e di tutte le altre popolazioni della zona, se si pensa all’Italia viene subito in mente Genova”.
Vediamo, nei limiti di queste note, quali sono le origini di questa antica consuetudine tra Liguri e popolazioni della Crimea, del Mar Nero e del Mar d’Azov e delle relative regioni interne.
Il punto cronologico di partenza di questa storia può essere situato al 13 marzo 1261. In quella data (che nessuno o quasi a Genova ricorda) a Ninfeo (presso Smirne, nell’attuale Turchia) fu stipulato un cruciale trattato internazionale tra Genova, rappresentata dal suo primo capitano del popolo, Guglielmo Boccanegra, e l’Imperatore Michele VIII Paleologo, la cui dinastia, spodestata a Bisanzio, aveva ricostituito l’Impero bizantino a Nicea.
Con il trattato Genova garantiva a Michele VIII il proprio aiuto navale per la riconquista di Bisanzio e del restante Impero usurpato nella IV Crociata (1204) da Venezia e dai suoi alleati franchi (così i Bizantini chiamavano gli Occidentali) guidati da Baldovino I, conte di Fiandra, Bonifacio, marchese di Monferrato e da altri baroni.
In cambio Michele VIII conferiva alla Repubblica di Genova uno status privilegiato nei rapporti politici e mercantili con l’Impero bizantino.
L’episodio si inquadra nel plurisecolare conflitto (1256-1380) tra Genova e Venezia, in un mondo medievale non ancora avvezzo alle imprese marinare, nel quale le due Città-Stato furono a lungo le sole potenze ‘globali’ a contendersi le rotte più ricche.
La IV Crociata era anche valsa la scomunica ai Veneziani: ne avevano approfittato per saccheggiare la ribelle (e cattolica) Zara. Infine quei Crociati, trasportati a caro prezzo dalle navi veneziane, anziché affrontare l’Islam che minacciava l’Impero bizantino (cristiano ortodosso), sottoposero quest’ultimo a una guerra fratricida, lo invasero, lo saccheggiarono senza pietà, lo trasformarono per 57 anni nell’Impero Latino d’Oriente e v’imposero la religione cattolica.
Pochi mesi dopo il Trattato di Ninfeo, però, il 25 luglio 1261 l’Impero Latino capitolò senza quasi colpo ferire. Non ci fu bisogno di battaglie navali: contro gli usurpatori a Costantinopoli bastò la sola minaccia della flotta genovese.
Michele, ricostituito l’Impero bizantino, tenne fede alla strategica alleanza con la Repubblica di Genova, confermata poi da tutti i suoi successori sino alla caduta di Bisanzio-Costantinopoli (1453), avvenuta due secoli dopo a opera dei Turchi Ottomani, il più potente fra i popoli ‘barbari’ orientali islamizzatisi durante l’avanzata dall’Asia centrale.
Saranno le milizie genovesi guidate da Giovanni Giustiniani Longo l’avanguardia delle truppe che si immoleranno nell’estrema difesa di Costantinopoli, la capitale dell’Impero che per un millennio aveva mantenuto accesa in Oriente la fiaccola della civiltà romana e cristiana dopo la caduta dell’Impero d’Occidente (476 d.C.).
Tra 1261 e 1453 la Repubblica di Genova assunse così un ruolo egemone nell’Impero bizantino, soppiantando Venezia (anche se i contrasti tra le due potenze marinare si riacutizzeranno a più riprese).
E vi stabilì una vasta rete coloniale, i cui centri nevralgici furono la città di Galata-Pera con la sua famosa Torre (costruita dai Genovesi nel 1348), presso Bisanzio, all’imbocco del Bosforo; nelle isole egee di Chio e Mitilene (Lesbo), di fronte all’Anatolia.
E in Crimea (o ‘Gazaria’), a confine con il mondo mongolo-tartaro dell’Orda d’Oro, con capitale a Caffa, sulle rive settentrionali del Mar Nero. Che tra XIV e XV secolo fu anche detto ‘Mare o Lago genovese’.
Colonie genovesi nel Mar Nero
Caffa (Fedosia), Tana (Azov), Soldaia (Sudak, le cui poderose fortificazioni sono patrimonio Unesco), Caulita (Jalta) erano, fra queste colonie d’Oltremare della Superba, i principali terminali della Via della Seta: lì le carovane in sei mesi facevano affluire alle navi genovesi i più preziosi carichi di merci dalla Cina.
Le colonie più orientali erano sul Mar d’Azov: Matrega (Taman) e Tana (di cui Venezia aveva mantenuto metà).
Altre fiorenti colonie genovesi sul Mar Nero settentrionale furono: Cherson (Sebastopoli), Cembalo (Balaklava), Lusta, Solgat, Vosporo.
A queste colonie settentrionali si devono aggiungere le tante costituite sulle rive meridionali: Sinope, Trebisonda (dove Genova deteneva fondaci, come Venezia), Simisso, Amastris, Penderachia. E in molti altri siti anatolici, specialmente marittimi. Va poi fatto almeno cenno a quelle nel Caucaso, nell’Abcazia (tra cui primeggiò Pitsunda).
E in Bessarabia (tra le attuali Ucraina, Moldavia e Romania), sia litoranee che fluviali, lungo il corso del Danubio, come Moncastro, Chilia, Licostomo, Costanza, Caladda e Ginestra, allora piccolo scalo genovese, oggi parte di un quartiere della martoriata Odessa.
La storiografia nostrana è in genere piuttosto pigra, smemorata e tiepida verso le imprese degli antichi Genovesi (ben più audaci degli odierni).
Non così all’estero. Osserva il grande storico francese Michel Balard: “Il turista contemporaneo non può essere che impressionato dalla possanza di queste ‘altre’ Genova fondate sulle rive del Mar Nero, ma anche nel cuore dell’Egeo. Con questi centri Genova non è alle sue prime esperienze di colonizzazione. Dagli inizi del XII secolo, sulla scia delle truppe crociate si erano formate piccole comunità liguri nei principali porti di Siria-Palestina in cui la Superba aveva ottenuto concessioni fondiarie, giurisdizionali e doganali in ricompensa dell’aiuto navale prestato nella conquista della Terrasanta”.
Quando Caffa cadde (22 anni dopo Bisanzio, nel 1475) si stima avesse 70.000 abitanti, come e più della stessa Genova: “L’occupazione del territorio è spettacolare: città come Caffa, Pera e Chio conoscono uno sviluppo eccezionale, si dotano di successive cinte di mura e animano la vita economica regionale, resistono agli assalti dei Greci e dei Mongoli, per non cadere che due secoli più tardi in potere degli Ottomani, superiori in numero, navi e potenza di fuoco. Queste esperienze di colonizzazione costituiscono gli antecedenti medievali della colonizzazione moderna”.
I rapporti tra coloni genovesi e nativi erano peculiari: “Intermediarie fra economie complementari, le colonie genovesi sono anche centri che valorizzano le più importanti risorse locali: cera, miele, pellicce e cereali per quelle di Crimea, allume destinato a fissare le tinture delle stoffe d’Occidente per Focea (Asia Minore), mastice, questo chewing-gum del Medioevo per Chio, che contingenta la produzione e commercializzazione in tutto il mondo. La nascita dei primi ‘cartelli commerciali’ si deve allo spirito d’invenzione dei Genovesi d’Oltremare”.
Per i Genovesi non occorreva asservire i popoli autoctoni: “Era sufficiente coinvolgere le élite indigene e lasciare loro una parte dei profitti, mantenendo la gente comune nella propria condizione ancestrale. I Genovesi non si interessavano molto alla propagazione della fede cristiana”.
Conclude Balard: “Dominazione politica ferma, sviluppo economico pesante, soggezione culturale leggera: gli insediamenti genovesi d’Oltremare sono stati il ‘laboratorio’ della colonizzazione moderna”.
Per la verità gli esiti successivi in questo campo furono (e sono) ben più pesanti e brutali nei confronti dei popoli colonizzati. E, a guardare la guerra odierna in Ucraina, sembra che la Storia (quella con la S maiuscola) non abbia insegnato niente agli epigoni odierni dei barbari di allora.
Marco Bonetti