17 Giorgio Caproni oltre la morte e verso il congedo dalla vita
Il sesso. La partita
domenicale.
La vita
così è risolta.
Resta
miseria d’una sorte!
Da risolver la morte.
Giorgio Caproni oltre la morte e verso il congedo dalla vita
Se per le precedenti raccolte abbiamo parlato di incontro-scontro, per Res amissa ciò non è più possibile: Caproni-l’io solo non s’incontra-scontra più con la solitudine, Dio, la morte, la parola, il Nulla, ma semplicemente porta a termine il suo allontanamento, il suo esilio totale e si congeda dalla vita stessa.
Le poesie di Caproni sono riflessioni, ipotesi, invocazioni e constatazioni intorno ai temi sopraelencati.
“Dio non è giusto, / dicono alcuni. / Può darsi. / Certamente, se c’è, / non è in tutto e per tutto / un Dio di loro gusto.” (Dio non è giusto); “Mio Dio, anche se non esisti, / perchè non ci assisti?” (Invocazione); “Signore, anche se non ci sei, / egualmente proteggi / e assisti me e i miei.” (La stessa in termini più prolissi di giaculatoria). “Non temo la morte. // Ho infatti una fortuna, più grossa / di quella di chi ha vinto un terno. // Non soffro d’insonnia. // Quindi / potrò più che tranquillamente / dormire il mio sonno eterno.” (Fortuna); “Il sesso. La partita / domenicale. / La vita / così è risolta. / Resta / (miseria d’una sorte!) / da risolver la morte.” (Considerazione).

La terra. / La guerra. // La sorte. / La morte.” (Fatalità della rima). “La parola. / La tagliola. // Occhio! / Sono una cosa sola.” (La tagliola); “Povere mie parole. / Stracci, o frecce di sole?…” (Povere mie parole). “Il Nulla, dicono, / è il “non essere”. / E allora, / come può, allora, / “essere” il “non essere”?” (Pierineria); “Non c’è il Tutto. / Non c’è il Nulla. C’è / soltanto il non c’è.” (Non c’è il Tutto). “Non restano testimonianze. / Grande che sia o meschino / quanto s’è fatto o detto / non dura più di nebbia al mattino.” (Su frase fatta); “Ecco a cosa penso. / Al senso della ragione. / Al senso della dissoluzione. / Al senso del non senso.” (Confidenza); “Ogni verità / è nel suo contrario. // Questo / e nient’altro, sa / la mia ottusità…” (Finesse).
Da un pezzo me ne sono accorto. / La ragione è sempre / dalla parte del torto.” (Acquisizione); “1. Già ho toccato la meta? / Son già anch’io, sul pianeta, / soltanto uno dei suoi tanti / – smarriti – disabitanti?”; “2. Quando non sarò più in nessun dove / e in nessun quando, dove / sarò, e in che quando?”; “3. Sfondata ogni porta, / abbattute le mura, / è il cosiddetto Infinito / la nostra vera clausura?” (Tre interrogativi, senza data, 1, 2, 3.).
Oltre la morte
Se prima c’era un muro impenetrabile, adesso si è oltre, non c’è più nemmeno l’illusione di un transito, di un ulteriore passaggio e, addirittura, “il muro, il confine si rivela come uno specchio, traveste solo debolmente una totale, disperante uniformità” Adele Dei, Giorgio Caproni.
“Quello che tu, mio vecchio, / scorgi oltre frontiera / è quanto è qua. // La barriera / – non te n’accorgi? – è uno specchio” (La barriera).

Se prima le coordinate spaziali-temporali apparivano sempre incerte ed inaffidabili, adesso si assiste ad una loro improvvisa, quanto totale e definitiva, dissoluzione: “1. // Son già dove? // Già quando?… // (Chiedo. // Non è che mi stia allarmando.)”; “2. // Son già oltre la morte. // Oltre l’oltre. // Già oltre / (in queste mie estreme ore corte) / l’oltre dell’oltremorte…”; “3. // Io, già all’infinito distante. // Qui, in questo mio preciso istante. // Dove, morto ormai il bettoliere, / aspetto – “come se” Nulla fosse – il solito / (già dileguato) bicchiere…”; “4. // (Io già al di là d’ogni attesa… / Già scavalcata ogni resa…)”, Quattro appunti.
Di nuovo il Nulla, definitivamente congedato nelle due successive poesie: “Il Nulla, dicono, / è il “non essere”. / E allora, / come può, allora, / “essere” il “non essere”?” (Pierineria); “Non c’è il Tutto. / Non c’è il Nulla. C’è / soltanto il non c’è.” (Non c’è il Tutto).
Nelle precedenti raccolte avevamo identificato nella realtà ossimorica, nell’irrealtà, l’unica realtà possibile, dove il Tutto ruotava intorno al Nulla.
Adesso l’unica realtà possibile è la non-realtà, dove la sola categoria è quella del non-essere.
L’io, già congedatosi dalla sapienza, dall’amore e dalla religione poiché giunto alla “disperazione / calma, senza sgomento”, diventa adesso “non-io” e in quanto tale si congeda dal congedo stesso.
È in questa ottica, direi, con questo nuovo “bagaglietto” pieno di “non essere” che vanno lette le poesie-riflessioni di Res amissa che, com’è nella consuetudine di Caproni, costituiscono un ideale ampliamento di temi già trattati.
E qui superati: si è oltre il viaggio (compiuto? non compiuto? mai iniziato?) e quindi oltre la solitudine, oltre Dio, oltre la morte, oltre l’oltre.
Il linguaggio si adegua al totale “non essere” presentandosi, di conseguenza, sempre più scarno ed essenziale: alle parole si sostituiscono spazi bianchi e puntini che “assumono una vera e propria funzione “strofica” nell’ordine di una pratica della poesia che procede per cancellazione e che salva la parola vacillante al limite di un precipizio, […] facendola vivere come una forza e un assoluto nella sua precarietà ed esilità.” Luigi Surdich, Giorgio Caproni. Un ritratto
Caproni ribadisce nuovamente l’incolmabile distanza tra il nome dell’oggetto e l’oggetto stesso (“Buttate pure via / ogni opera in versi o in prosa. / Nessuno è mai riuscito a dire / cos’è, nella sua essenza, una rosa.”, Concessione), nonché il potere distruttivo del nome di evocare ed annullare l’oggetto che, pertanto, non deve essere nominato (“Tutti quei fiori… / […] (In guardia!… / Basterà che li tocchi / una voce, e il gelo / ne coprirà all’istante / la vampa – farà di cenere il cielo…)”, Senza titolo) come già asserito ne Il Conte di Kevenhüller (“Il nome non è la persona. // Il nome è la larva. […], Il nome; “[…]… È l’ora… // L’ora della Bestia…! // Prima / di nominarla, spara! // Spara prima che sparisca / nel suo nome. […]”, L’ora).
“L’impotenza del linguaggio ad afferrare l’essenza, poiché la nominazione significa distruzione, è a fondamento dell’accostamento sempre più ravvicinato della poesia alla musica perseguito da Caproni. Persuaso com’è che la musica sia “Pensiero puro senza la corruzione delle parole. (O meglio della parola)”, Caproni si pone come obiettivo quello di “pensare in musica”, poiché è “soprattutto in virtù della musica della parola” che un poeta “riesce a suscitare nel lettore – più che a comunicare per via diretta – le proprie emozioni: le proprie idee”.

E come a risposta, coi fatti, di tale enunciazione programmatica, di tale ardua ambizione, il lessico sembra farsi sempre più spoglio, ridotto, limitato, da una parte (quasi a riflesso di un gioco di equivalenze per cui a meno parole e a più silenzi corrisponde più musica).
Oppure, dall’altra parte, punta su coniazioni originali, fatte di associazioni di termini (“asparizione”, “scompagine”, “disperanza”, ecc.), con particolare insistenza su parole composte in cui il secondo membro sia una forma di participio presente: “plumbeotrasparente”, “minuettante”, “leoneggiante”, “gecheggiante”, “dragheggiante”, “gommeggiante”, “donneggiante”, “nudeggiante”, “acciaiescente”, fino a quel “flautoclarinescente” che chiude la poesia Per l’onomastico di Rina, battezzata Rosa e che al suo interno include il nome della donna cui è rivolto l’omaggio.” Luigi Surdich, Giorgio Caproni. Un ritratto
Caproni ha più volte ripetuto di voler arrivare al punto di scrivere poesie di una sola parola.
Certo è che i versi della sua ultima raccolta sono quanto di più conciso e allo stesso tempo profondamente toccante ed espressivo si possa leggere, soprattutto se si pensa che i temi trattati non sono dei più semplici ed immediati.
D’altronde, per Caproni, “Anche le cose più gravi si possono esprimere con brio, o comunque alternando all’Adagio o al Solenne l’Allegro o l’Allegretto, se non addirittura lo Scherzo” (Una straziata allegria a cura di Domenico Astengo)
In terra di smarrimento.
Allegretto con brio.
È questo il movimento
giusto, perché anch’io
possa dire il tormento
del poeta: il letale
suo eterno rodimento
di figlio naturale.
(Minuetto)
Nell’oltre dell’estrema solitudine
Caproni, “già da tempo frequentatore degli orizzonti estremi” (Luigi Surdich, Giorgio Caproni. Un ritratto), è giunto nell’ “oltre dell’oltremorte” e anche per questo ultimo viaggio il “bagaglietto” che si è portato appresso contiene un’unica certezza: l’incertezza di tutto.
Siete impazienti. Capisco.
Vi lascio il posto. Vo Via.
Dove, non lo so. Sparisco.
Giorgio Caproni è sparito nell’oltre dell’estrema solitudine il 22 gennaio 1990 lasciandoci tutti un po’ più soli…

Epilogo
La morte non finisce mai
Riproduzione Vietata
Un ringraziamento speciale alla fotonarratrice Patrizia Traverso per le foto
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