Speciale 25 Aprile. Rudolf Jacobs, l’ufficiale tedesco che combatté il Nazismo

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Rudolf Jacobs era nato a Brema il 26 luglio 1914. Il padre era un famoso architetto. Giovanissimo decise d’imbarcarsi su navi della marina mercantile, navigando prevalentemente nell’Oceano Indiano. Questo lungo periodo di navigazione dal 1932 al 1938 lo tenne lontano dalla Germania, proprio negli anni nei quali il nazismo si era affermato e aveva nazificato tutto il paese.

L’ambiente e la storia di Brema in Germania sono particolari. Brema è una città della Lega Anseatica, una potente unione di città marittime del Nord Europa di carattere commerciale, che dominò per secoli i commerci nel Baltico e nel mare del Nord. Ancora oggi, Brema è una città-stato, non appartiene a nessun lander tedesco, ed è sempre andata molto fiera della sua indipendenza. Per secoli Brema si fregiava del titolo di “Freie und Hansestadt” “Libera città anseatica”.

Il titolo le venne tolto dai nazisti, dopo che il Senato della città proibì ad Hitler di tenere un comizio a Brema.

Rudolf Jacobs rientrò in Germania per laurearsi in ingegneria. Nel 1939 fu arruolato dalla marina militare tedesca, esattamente come ufficiale del genio navale germanico. Nominato capitano, nel 1943 fu inviato alla Spezia, dapprima presso l’arsenale militare cittadino, poi gli fu affidato il comando delle batterie costiere nella zona di Punta Bianca e Montemarcello nel comune di Ameglia. Batterie, che, più tardi, quando gli alleati raggiunsero la linea gotica, che, sul fronte tirrenico iniziava tra Massa e Forte dei Marmi, erano in grado di sparare oltre le linee del fronte e di arrivare a colpire sino a Viareggio.

Il comportamento del capitano Jacobs era abbastanza originale per un ufficiale tedesco, la cosa non passò inosservata dapprima ad alcuni operai antifascisti dell’arsenale militare della Spezia e, poi, agli antifascisti di Lerici, che presero contatto con lui e lo misero in relazione con i primi gruppi partigiani.

Infatti Jacobs aveva preso a denunciare e perseguire chi faceva borsa nera, facendo sequestrare importanti quantità di cibo, distribuendolo gratuitamente alla popolazione, arrivò persino a utilizzare riserve alimentari della marina tedesca per sfamare gli abitanti del posto.

Ci furono anche soldati tedeschi che disertarono e si unirono alle forze della resistenza nei diversi paesi d’Europa. Autorevoli storici stimano che furono circa 10.000 i soldati tedeschi, passati nelle file delle varie resistenze europee. La stima non è facile, perché per orgoglio militarista e propaganda nazista non veniva mai riconosciuto il caso della diserzione, preferendo catalogare questi casi come dispersi.

A Sarzana, nel limite orientale della Liguria c’è stato un caso, unico in tutta l’Europa, un caso di grande importanza storica, ma anche morale e politica.

Il capitano della Kriegsmarine (marina da guerra) germanica Rudolf Jacobs, disertò insieme al suo attendente, un caporalmaggiore dal nome incerto (per alcuni Johann Fritz) e, caricato un camion di armi, viveri e benzina, raggiunse le formazioni partigiane locali e, insieme all’attendente combatté per circa un anno nelle fila della Brigata Garibaldi Muccini, dislocata sulle montagne intorno a Sarzana.

L’audacia in azione di Jacobs divenne leggendaria tra i partigiani locali. Lui progettò un piano veramente ardimentoso. La sera del 3 novembre 1944, decise di assaltare la caserma delle Brigate Nere nel pieno centro di Sarzana. La caserma era sistemata nell’Hotel Laurina, che i fascisti avevano requisito e trasformato in caserma. Per riuscire nell’impresa Jacobs vestì la sua uniforme di capitano dell’esercito tedesco, accompagnato dal suo fedele attendente Fritz, con loro erano altri sei partigiani, tra i quali due russi e uno jugoslavo. Altri partigiani erano appostati a copertura, più lontani e nascosti. Era stata scelta l’ora di cena, contando sul fatto che i militi fascisti, a quell’ora, si affollavano nei saloni del ristorante dell’albergo, trasformati in mensa, così li avrebbero trovati radunati e facilmente esposti al fuoco partigiano.

Finsero di dover consegnare dei prigionieri. Jacobs chiese al piantone di voler parlare col comandante. Sfortunatamente, il comandante, in quel momento, era assente, perché era alla Spezia al comando di zona. Si presentò il vice comandante. Jacobs sparò un colpo e lo uccise, ma quello fu l’unico colpo esploso dal suo mitra, che s’inceppò. Ci fu una sparatoria, anche l’attendente e un altro partigiano rimasero feriti, mentre morirono due fascisti. Uno ferito gravemente sarebbe morto il giorno dopo. Jacobs fu colpito a morte.

Mio padre, grazie ai suoi studi tecnici, da militare era stato trasferito dal suo reggimento, accasermato a Chiavari, al centro studi armi di preda bellica a Civitavecchia, dove aveva acquisito una straordinaria conoscenza delle varie armi. Mi raccontava che, la sera prima dell’attacco, lui si trovava insieme a Jacobs, il quale stava preparando le armi per l’azione del giorno successivo, ma, non avendo pallottole originali per la machine pistole tedesca, aveva deciso di utilizzare quelle del MAB italiano dello stesso calibro. Mio padre mi disse che lo aveva avvertito, che le pallottole del MAB, usate nella machine-pistole potevano creare problemi d’inceppamento. Jacobs lo ascoltò e provò a sparare con queste pallottole, senza alcun problema. A mio padre è sempre rimasta la convinzione che il problema dell’inceppamento che costò la vita a Jacobs, sia stato dovuto al munizionamento difettoso.

Nella Brigata Muccini c’erano diversi partigiani stranieri, soprattutto russi e jugoslavi, ma anche polacchi e altri. Nel distaccamento “Righi”, del quale mio padre divenne comandante, c’erano due russi, uno jugoslavo, un ceco e un altro soldato tedesco, che combatté con loro sino alla fine della guerra.

Il caso di Jacobs è comunque unico. Si tratta dell’unico ufficiale tedesco, che disertò e combatté nelle file partigiane. A Rudolf Jacobs fu concessa la medaglia d’argento al valor militare della repubblica Italiana.

La moglie di Jacobs seppe della morte, ma senza informazioni precise. Le fu detto che era disperso in combattimento. Venne a sapere la vera storia, solo molti anni dopo, nel 1957, quando l’ex commissario politico della Brigata Garibaldi Muccini Paolino Ranieri, nel frattempo divenuto sindaco di Sarzana, riuscì a rintracciare la famiglia e a informarla dell’accaduto.

In un primo momento la cosa non fu facile. A differenza che in Italia, dove la diserzione dall’esercito di Mussolini era considerata un atto eroico e un dovere morale, in Germania la diserzione, anche per una causa più che giusta, era considerata come un tradimento della patria. Solo dopo molti anni, la situazione è cambiata.  Di recente i disertori dell’esercito germanico non solo sono stati riabilitati, ma a molti di loro è stato riconosciuto il merito di aver combattuto il nazismo.

Per alcuni anni la stessa moglie di Jacobs preferì non raccontare in pubblico la storia del marito.

Negli ultimi anni, nell’ambito della campagna condotta in Germania per valorizzare i nemici del nazismo, la città di Brema ha dedicato a Rudolf Jacobs un convegno e una targa, dove riconosce i suoi meriti verso l’umanità.

Sulla vicenda di Rudolf Jacobs il regista cinematografico Luigi Faccini ha scritto un interessante libro biografico dal titolo “L’uomo che nacque morendo”, dal quale lo stesso regista ha tratto un bellissimo film dallo stesso titolo, che la televisione italiana dovrebbe fare conoscere maggiormente.

Gli Archivi Storici della Resistenza hanno inoltre prodotto un libro a fumetti sulla storia di Jacobs, dal titolo “Rudolf Jacobs, un ricordo indelebile”.

La vicenda di Rudolf Jacobs meriterebbe ben altro risalto, molto oltre le realtà locali, ma anche oltre le sfere nazionali d’Italia e di Germania. Rudolf Jacobs rappresenta una figura straordinaria di uomo giusto e amante della democrazia, che combatte e dona persino la sua stessa vita e lo fa al di sopra delle appartenenze nazionali o politiche, lo fa per l’umanità intera. Oggi l’Europa Unita dovrebbe assurgere Rudolf Jacobs come esempio, valorizzarne la storia e far sapere alle giovani generazioni da Capo Nord al canale di Sicilia, dal Portogallo agli Urali che questo uomo è un simbolo di libertà per l’umanità intera.

Nicola Caprioni

articolo scritto dalla redazione de La voce del Circolo Pertini

Copertina: Gazzetta della Spezia

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