Galata genovese e la sua storia dimenticata
A Galata è intitolata una nota via del centro di Genova. E il Museo del Mare, il più importante del Mediterraneo. Ma quanti a Genova sanno connettere a questo nudo nomen la memoria di un essenziale insediamento medievale genovese d’Oltremare?
Detta anche Pera, questa popolosa città (vera e propria atra Zenoa, secondo la felice formula del poeta di fine Duecento ricordato come Anonimo Genovese) sorse nel cuore dell’Impero bizantino, sull’estrema riva europea prima dell’Asia: di fronte a Costantinopoli, sul Corno d’Oro, ma anche affacciata sullo Stretto del Bosforo, passaggio obbligato per le rotte navali tra Mediterraneo, Mar di Marmara e Mar Nero.

Le rive del Mar Nero tra fine Duecento e prima metà del Quattrocento erano punteggiate di decine di colonie commerciali genovesi.

Avevano il loro centro principale in Caffa, sulla fascia litoranea della Crimea.

Galata fu dunque il centro nevralgico della vasta rete coloniale genovese medievale in Oriente: magna pars di quell’Impero di Genova – una talassocrazia opposta a quella veneziana, basata su fitte relazioni marittime e commerciali –, di cui si è a fondo trattato un anno fa nel grande Convegno internazionale di medievisti tenutosi a Palazzo Ducale, nell’ambito del Progetto IANUA – Genova nel Medioevo, coordinato dallo storico Antonio Musarra.

Dal 1273 Galata fu amministrata in autonomia dai Genovesi per quasi due secoli.
Ma, anche dopo la conquista di Costantinopoli e dell’Impero Romano d’Oriente da parte degli islamici Turchi (1453) – convertito così in Impero Ottomano –, Galata-Pera continuò a essere l’énclave europea di Istanbul, sotto diretta protezione del Sultano. E il principale centro d’affari dell’Impero.
A raccontarci l’avventurosa esistenza di questa comunità genovese dopo la caduta di Costantinopoli, in un quadrante geopolitico così distante dalla madrepatria, e ormai così diverso per usi e cultura, ci ha pensato Agostino Carlo Segalerba, 75 anni, da decenni cultore della materia con puntuali ricerche d’archivio e sul campo (in occasione di frequenti viaggi ad Istanbul) e curatore del partecipato Gruppo Facebook Galata dei Genovesi.

Il suo ultimo, avvincente libro, Galata – Da genovese a ottomana (Galata Editore) è un testo agile ma esaustivo, ricco di illustrazioni, in cui tutto – persino il nome dell’Editore – riconduce all’avventura storica di quest’enclave genovese d’Oriente di cui si possono ammirare ancor oggi i monumenti, ma anche cogliere vive testimonianze nei discendenti della comunità italo-levantina che tuttora, in silenzio, a distanza di oltre sette secoli, si perpetua in Turchia.
Oggi Galata-Pera è il centro storico del cosmopolita quartiere di Istanbul, Beyoğlu.
Qui c’è Bankalar Caddesi, via delle banche che fu il centro finanziario dell’Impero Ottomano. Qui c’è l’Hotel di lusso Pera Palace. E la sede del noto club calcistico Galatasaray. Qui c’è il Tünel, la più antica metropolitana al mondo (1875) dopo il Tube londinese (1863). Qui si conservano chiese, conventi, edifici medievali, caruggi e l’alta palazzata sul mare che ricordano Genova e le Riviere liguri.
Su tutto svetta la poderosa Torre di Galata (in origine ‘di Cristo’) costruita dai Genovesi nel 1348. Con i suoi 67 metri è uno degli edifici storici più alti di Istanbul. È larga sedici metri. Le mura sono spesse quattro metri.

Viaggiando lungo le coste anatoliche non è infrequente incontrare monumenti, fortificazioni e altre vestigia storiche lasciate ai posteri – come ricordano le locali lapidi e didascalie – dal quasi mitico popolo dei Cenevizliler (Genovesi). Il Governo turco ha da anni candidato al riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità Unesco ben nove siti fondati dai Genovesi: otto stazioni commerciali fortificate sulle rotte dal Mediterraneo al Mar Nero e la famosa Torre di Galata.
A Genova è labile la memoria di questo glorioso passato. Ma i Turchi non dimenticano i Genovesi antichi (ben più sagaci dei moderni).
A chiarire le idee agli ignari Genovesi (e non solo) sulla colonia medievale di Pera-Galata ci aveva già pensato Carlo Segalerba nel 2022 con il suo primo libro su questi temi: Galata dei Genovesi – 1267-1453 (Galata Editore), con il quale ha iniziato a colmare un’inspiegabile lacuna nella letteratura divulgativa storica.
A consentire l’insediamento di Galata fu il Trattato di Ninfeo del 13 marzo 1261, con il quale si stabilì una strategica alleanza tra Repubblica di Genova e Impero d’Oriente. Durò due secoli, nei quali la Superba seppe mantenere una posizione egemonica nei lucrosi commerci con il Mar Nero, prima monopolio di Venezia. Alle sue numerose, prospere colonie tra delta del Danubio e foce del Don, in Crimea, nel Mar d’Azov, in sei mesi di marcia affluivano dall’Estremo Oriente le carovane della Via della Seta con i loro preziosi carichi di merci, stivati poi sulle navi mercantili genovesi. Il porto di Soldaia (Sudak) ne poteva ospitare anche duecento.

Galata, che i Genovesi iniziarono a popolare dal 1267 e che divenne un’entità politica autonoma dal 1273, era al centro di una rete coloniale orientale, che aveva punti di forza strategici, oltreché nel Mar Nero, in Asia Minore e nell’Egeo, specialmente nell’isola di Chio.
La storia di Galata non fu lineare: a periodi di pace si alternarono sanguinosi contrasti con Veneziani, Turchi Ottomani (quando questi non furono alleati dei Genovesi), pirati o bande di mercenari come gli Almogaveri e con gli stessi Greci.
Carlo Segalerba nel suo primo libro aveva già accompagnato il lettore con mano sicura in questo labirinto bizantino di intrighi di palazzo, assedi, battaglie navali (in cui i Genovesi eccelsero) e, talora, di dissidi intestini. L’epilogo del primo libro è costituito dalla fine della Costantinopoli cristiana (1453), assediata dalle truppe preponderanti di Mehemed II e difesa eroicamente dal genovese Giovanni Giustiniani e dalle sue milizie greco-genovesi.
Alla base della Torre di Galata una targa commemorativa attesta che la conquista ottomana di Costantinopoli (da allora ridenominata in turco Istanbul) il 29 maggio 1453 si concluse solo con la consegna da parte dei Ceneviz (Genovesi) delle chiavi della cittadella fortificata di Galata.

In realtà quella fine fu un nuovo inizio.
Come ricorda lo storico bizantino Dukas “mentre gli abitanti di Pera fuggivano, uno dei ministri di Mehmed […], il cui nome era Saghan, correndo verso i quartieri di Galata, gridava: ‘Non fuggite!’ e giurando sulla testa del suo signore diceva: ‘Non temete: voi siete amici del mio capo supremo e conserverete la vostra città senza ricevere oltraggio alcuno e otterrete da noi patti più vantaggiosi di quelli che avevate con l’Imperatore!”. Il nuovo trattato tra i Peroti e il Sultano fu stipulato subito: il primo giugno 1453.
I tempi gloriosi dei traffici orientali delle Repubbliche marinare erano ormai al tramonto. Ma un’altra era si profilava.
Osservava Segalerba a conclusione del primo libro: “Cessava così l’autonomia della colonia ghibellina, ribelle e corrotta, e Genova, dopo quasi due secoli, perdeva, con essa, il controllo assoluto del Mar Nero, fino ad allora conosciuto come Lago genovese. Ma non sarebbero ancora trascorsi quarant’anni che un altro grande figlio della Superba avrebbe scoperto nuove vie verso nuove terre ed enormi ricchezze”.
Tramontato l’Impero Romano d’Oriente, i Genovesi dal 1528, grazie all’abilità strategica e diplomatica di Andrea Doria, sapranno poi stabilire un’alleanza esclusiva, questa volta marcatamente finanziaria, oltreché mercantile e di supporto navale, col nuovo Impero d’Occidente, padrone delle Americhe: la Spagna che stava per vivere il Siglo de Oro. O Siglo de los Genoveses.
Ma cosa fu di Galata dopo il 1453?
Carlo Segalerba ce lo racconta nel suo nuovo saggio, scritto con linguaggio chiaro e fondato su una rigorosa ricerca sulle fonti, sia genovesi, sia, soprattutto, ottomane.
Marco Bonetti