Come si polverizza un sogno?
«Ma io non posso pensare a voi e a me separatamente: voi ed io per me è una cosa sola. E davanti a noi non vedo tranquillità, né per me, né per voi. Vedo la possibilità della disperazione, dell’infelicità… oppure della felicità, e di quale felicità!»
Anna Karenina, traduzione dal russo di Laura Salmon.
Nel romanzo Magnifico e tremendo stava l’amore, Einaudi 2024, Maria Grazia Calandrone ricostruendo la parabola esistenziale della coppia Luciana Cristallo / Domenico Bruno ci accompagna in una storia di reiterate violenze che sfociano in un omicidio: Luciana presagì fin dai primi appuntamenti il dramma che la attendeva ma mise a fuoco il colpo di fulmine, la chimera di una relazione coronata da profondo affetto.
Calandrone si interroga su quanto quei due ragazzi innamorati e belli nel momento in cui si scelsero erano già consci del futuro che li avvinghiava dal basso come un’alga letale. Questo il passaggio che mi ha suggerito l’eco tolstojano (Calandrone accenna l’intramontabile incipit sulla famiglia felice tratto da Anna Karenina) e precisamente quel momento teso in cui, con il viso illuminato, Vronsky si confessa oscillando tra l’intuizione di quello che sarà il reale destino della sua unione con Anna e l’illusione in cui ogni amante scivola: credere nella forza di un sentimento d’amore capace di scardinare gli ostacoli, sanare ogni ferita e brillare di gioia eterna, e quale gioia!
Ecco la speranza taciuta che ogni innamorato porta con sé, ecco la speranza di Luciana.
Siamo negli anni Ottanta e per i successivi venti la coppia, percorrendo un arco spazio-temporale che la farà ondeggiare tra la Calabria e Roma, subirà delle trasformazioni: amanti poi coniugi poi genitori infine carnefici; durante il prolungarsi di questa processione d’amore, Luciana si aggrappa con ogni energia al suo sogno ricavandone la forza per sopportare le umiliazioni, i soprusi e le violenze con cui Domenico offenderà la sua anima accanendosi contro il suo corpo.
Calandrone ci accompagna tra le righe di una vicenda dolorosa, un’opera letteraria che ruota attorno al tema della sopraffazione in un quadro storico-sociale dove la prepotenza filtra da ogni fessura: gli anni di Tangentopoli, la disperazione delle madri di Plaza de Majo, l’avvento della televisione di Silvio Berlusconi e il coordinamento della modalità di diffusione delle notizie – quali evidenziare e, soprattutto, con quale linguaggio – e quindi la disinformazione e la merci ficazione mediatica delle forme femminili, per arrivare fino alla nascita del web e alla supremazia di Tik Tok.
Una storia in cui il male surclassa.
All’interno di uno scenario realistico l’autrice ricuce e proietta la storia dei due innamorati: l’ossessione ambiziosa e frustrata di Domenico per il successo; il distacco di Luciana dal circostante, immersa nel suo miraggio di magnifico splendore, cieca di fronte al tremendo abisso fatto di manipolazione morte occultamento su cui staziona.
Fra le righe c’è un tema decisivo che emerge dalla ricostruzione attenta di Calandrone: il marchio della cattiva madre. Come si polverizza un sogno? Con la menzogna. Irretire chi ha figli paventando l’idea della separazione forzata a causa dell’inefficienza educativa – uno stigma che perseguita le donne da tempo immemore e viene usato come grimaldello per scardinare la loro autonomia –in questa direzione molto istruttivo il docufilm Witches della regista inglese Elizabeth Sankey.
Un incubo induce Luciana a prendere decisioni scaturite da una visione stravolta della realtà; ma questo stato di terrore durato vent’anni verrà finalmente riconosciuto in sede processuale. Dopo trentanove udienze, un procedimento giudiziario durato sette anni e mezzo vede la Terza Corte d’assise del Tribunale di Roma, presieduta dalla dottoressa Evelina Canale, assolvere Luciana Cristallo. Una sentenza che fa giurisprudenza, un precedente importante che colma un vuoto legislativo, anticipando la legge sullo stalking e aprendo un solco per i successivi consolidamenti del Codice rosso.
La tragedia che ha travolto Luciana Cristallo e Domenico Bruno la apprendiamo dalle cronache, dalle puntate di Un giorno in pretura e dalle interviste di Leosini in Storie Maledette. Quello che crea Calandrone è un punto di vista interno: la sensibilità di una poeta sommata allo studio e alla ricerca dei fatti, la costruzione di dialoghi, emozioni, esitazioni e respiri; con uno stile armonico, melodioso e spezzato, l’autrice riconduce la sonorità della prosa alla musicalità prima dolce poi sempre più aspra di un’esistenza resa con arte, una poesia che si accorda alla tensione interiore della protagonista.
Zhemao
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