Due imputati che si accusano a vicenda, mentre rimane da chiarire il ruolo del terzo uomo ancora in Egitto: è quanto accaduto all’udienza del processo per l’omicidio premeditato di Mahmoud Abdalla, il diciannovenne assassinato nell’estate 2023 in un appartamento di Sestri Ponente. Al banco degli imputati i cittadini egiziani Abdelwahab Kamel, detto Tito, e Abdelghani Alì detto Bob, rispettivamente di 27 e 26 anni.
Abdalla, dipendente di un barber shop a Sestri Ponente, aveva presentato delle rimostranze per dei salari non pagati e per le condizioni di lavoro e aveva segnalato queste anomalie durante un’ispezione della Guardia di Finanza che al negozio. Ali e Bob, gestori del negozio, avrebbero quindi attirato il 23 luglio 2023 nell’appartamento usato come dormitorio da vari dipendenti, dove lo avrebbero aggredito. Le accuse non riguardano solo l’omicidio: aver assassinato il giovane, i due avrebbero fatto a pezzi il corpo e lo avrebbero messo in una valigia per rercarsi a Chiavari – dove si trova un altro salone gestito dai due – e avrebbero abbandonato i resti nel torrente Entella. Nei giorni seguenti parti del corpo sono riemerse in mare, facendo partire le indagini.
Le difese contrastanti al processo per l’omicidio Abdalla
Rimane da chiarire se l’effettivo titolare del barber shop, Mohamed Alì detto Aly (il fratello di Bob) abbia un ruolo nell’omicidio. L’uomo è tornato nel suo Paese natale, l’Egitto, circa un mese prima dell’omicidio – una settimana dopo l’ispezione delle Fiamme Gialle – che da allora non ha mai lasciato. Sebbene non sia mai stato formalmente indagato, le forze dell’ordine hanno più volte ipotizzato che potrebbe essere il mandante dell’omicidio di Abdalla, considerato un piantagrane.
Dopo aver “inguaiato” il datore il lavoro con la Finanza, Abdalla si era licenziato e stava per iniziare un nuovo impiego presso un barber shop concorrente a condizioni di lavoro migliori. Una mossa che sarebbe stata inaccettabile per Aly.
A sostenere questa teoria, le numerose intercettazioni di telefonate e messaggi WhatsApp, e di alcuni video, tra Aly e Tito. Ed è stato proprio Tito ad addossare le responsabilità dell’omicidio al titolare del negozio, sostenendo di aver ricevuto una foto di Abdalla da parte di Aly, che gli ricordava che il ragazzo stava per cambiare lavoro e che bisognava impedirlo. In tribunale Tito ha detto di non aver mai avuto problemi con la vittima e ha anche accusato Bob di essere il responsabile dell’omicidio: «È stato Bob dapprima a colpirlo con un pugno all’occhio… il ragazzo si è riparato con le mani ed è andato verso la cucina. Allora io sono intervenuto e proprio in cucina c’erano due coltelli: Mahmoud ne ha preso uno, quello portato in casa da Bob. Siamo caduti e cadendo il coltello ha trafitto Abdalla. Poi Bob ha sfilato la lama e lo ha colpito ancora».
La versione di Bob per difendersi dalle accuse di Tito
Non ci sta però Bob a prendersi tutte le colpe: «È stato solo Tito a uccidere Mahmoud, io ho cercato di difenderlo e per mezz’ora di dissuadere Tito a non farlo, ma lui ha proseguito… ha usato un coltello che nascondeva nei pantaloni e che avevamo comprato insieme, ma io non sapevo delle sue intenzioni», ha detto in aula. «Tito ha colpito il ragazzo alla pancia per due volte, ferendosi. Dopo la prima coltellata, Mahmoud si è difeso morsicando Tito a una mano. Poi è finito a terra e Tito l’ha colpito ancora allo stomaco. Infine, dopo avere intimidito me, lo ha finito con due fendenti alla gola. Compiuto l’omicidio mi ha minacciato: se avessi parlato avrebbe pagato 50 mila euro per fare uccidere i miei familiari in Egitto».
Questa versione richiama un fatto confermato dalle indagini: poco prima di incontrarsi con Abdalla, i due hanno infatti acquistato dei coltelli in un negozio di Sestri. Tuttavia, starà alla corte presieduta da Massimo Cusatti pronunciare la sentenza. Entrambi rischiano l’ergastolo.
Il processo si aggiornerà l’8 ottobre con la prossima udienza, quando si attende la requisitoria e le richieste di condanna da parte del pubblico ministero Daniela Pischetola. Entro un mese da quella data dovrebbe poi arrivare la sentenza. Intanto Tito e Bob rimangono detenuti in due differenti carceri piemontesi.