Sono due atlete straordinarie e hanno fatto la storia del loro Paese, riportando l’Algeria nel medagliere olimpico dopo l’edizione a zero di Tokyo 2020, uniche della loro della loro delegazione – per ora – a salire su un podio a Parigi: Kaylia Nemour e Imane Khelif sono diversissime tra loro, ma hanno conquistato una medaglia d’oro ciascuna.
Nemour ha incantato alle parallele asimmetriche, attrezzo della ginnastica artistica di cui è una vera specialista. Khelif ha conquistato il ring ieri sera battendo la cinese Liu Yang 5-0. La pugile ha catturato l’attenzione mediatica e la curiosità – anche morbosa, bisogna dirlo – sulla sua identità e sulle polemiche portate avanti nei suoi confronti dall’IBA, ma l’oro della ginnasta, prima medaglia storica per l’Algeria in questa disciplina ha altrettanto valore.
Khelif e Nemour messe vicine hanno ben poco in comune, salvo il genere e la bandiera, eppure ci ricordano che non esiste un unico modo di essere donna
Ai Giochi, anzi, abbiamo visto tantissime fisicità tra le atlete, dai corpi più esili e sinuosi della ritmica – la medagliata azzurra Sofia Raffaeli dichiara 37 chilogrammi per 1 metro e 57 cm d’altezza – alle robuste, solide sollevatrici di peso cinesi che si sono imposte ieri. Perché è bene ricordarlo? Perché buona parte delle polemiche sull’identità di genere di Imane Khelif si basa sul fatto che per molti uomini occidentali questa giovane donna non è attraente o non li attira dal punto di vista sessuale.
«È brutta, è troppo muscolosa, è un uomo, le donne non hanno muscoli così, non ha abbastanza seno, non è attraente, non me la farei mai», sono solo alcuni dei commenti detestabili che abbiamo letto in questi giorni. Non è un’esclusiva su Imane Khelif, da Paola Egonu a scendere sono moltissime le atlete “colpevoli” secondo una parte dell’opinione pubblica di non essere abbastanza belle.
Poco importa che siano parte dell’élite della loro disciplina sportiva o che siano alle Olimpiadi: per ancora troppe persone se una donna non è canonicamente bella, non ha diritto a esistere o ad avere spazio mediatico.
Il che spesso scatena la reazione opposta dai fan, che rispondono sui social che non è vero, le atlete prese di mira sono “brave ma anche bellissime”… di fatto, però, convalidando l’idea che in quanto femmine bisogna essere prima di tutto attraenti e solo in un secondo momento competenti. In realtà, diciamolo, l’aspetto di un’atleta non dovrebbe contare nulla.
Sono tante le atlete che combattono da anni per un mondo mediatico intorno allo sport femminile che sia meno concentrato sul gossip e sulla sessualizzazione delle donne: dalle polemiche sulle divise, spesso molto rivelatrici rispetto a quelle dei colleghi uomini senza motivazione agonistica, al posizionamento dei fotografi per evitare riprese e scatti troppo ammiccanti, come nella ginnastica artistica. Le donne sono atlete che compiono imprese incredibili, non bamboline messe lì per eccitare il pubblico.
La conferenza stampa dell’IBA, una scena caotica che non ha risolto nulla
Il caso della Khelif è stato particolarmente dibattuto per la presa di posizione dell’IBA, la federazione di pugilato che anche in settimana ha convocato una conferenza stampa per ribadire la sua contrarietà alla partecipazione dell’algerina e di Lin Yu-Ting, l’altra pugile espulsa nel 2023. Tuttavia, i giornalisti che hanno partecipato hanno detto che l’incontro si è svolto in modo confuso, senza aggiungere particolari informazioni per la presa di posizione, anche a causa delle invettive del presidente russo contro il Comitato olimpico internazionale.
L’IBA ha parlato di un test del DNA impiegato più di 25 anni fa per assicurarsi sull’identità di genere di atlete “sospette” della Germania DDR e dell’URSS. Tale test avrebbe dimostrato che le due pugili hanno cromosomi XY e non XX, il cariotipo di norma posseduto dalle donne. Tuttavia, non sono mostrate prove di questo test, adducendo problemi di privacy per tutelare le atlete. Una strana tutela, visto che la federazione – non più responsabile del torneo olimpico dal 2019 – pretende di essere creduta sulla parola, quando il CIO ha ritenuto invece non solo che Khelif e Lin siano donne, ma che rientrassero in tutti i parametri per competere.
Secondo Geraint Hughes, giornalista di Sky UK che ha partecipato all’incontro,
È stata la conferenza stampa sportiva internazionale più caotica e mal organizzata a cui abbia mai partecipato. È iniziata con un’ora di ritardo e presentava numerosi problemi tecnici. Durante la conferenza la gente urlava per le domande e urlava per le risposte. Diversi giornalisti e altre persone presenti se ne sono andati disgustati, non solo per il linguaggio, ma anche per il tono delle risposte dei partecipanti all’IBA. In particolare quelle del presidente Umar Kremlev. È intervenuto spesso e ha fatto commenti calunniosi sul presidente del CIO Thomas Bach. La conferenza è stata completamente farsesca, perché a volte la traduzione era mancante o era scadente e lenta, il che significa che le persone non sapevano effettivamente cosa si stesse dicendo.
Kremlev ha definito infatti Thomas Bach un “sodomita a più riprese”. Reuters ha deciso di interrompere la trasmissione a metà conferenza stampa e ha abbandonato la sala per protesta. A un certo punto sono intervenute anche due atlete della delegazione algerina, che hanno parlato della loro compagna con passione e rivendicando la sua identità di donna e il suo diritto a competere a Parigi.
Khelif e Nemour, eroine di un’Algeria ancora indietro sui diritti delle donne
L’altra particolarità di questo doppio titolo olimpico è l’onore e il riconoscimento avuto da queste due atlete da un Paese che ancora non riesce a recepire lo standard internazionale sui diritti delle donne.
Sebbene la Costituzione algerina riconosca pari diritti e dignità a cittadini e cittadine, il codice di famiglia e il codice penale continuano a perpetrare diverse discriminazioni a discapito delle donne. Un esempio, denuncia Amnesty International, l’articolo 66 del codice di famiglia stabilisce che una madre dopo il divorzio perde automaticamente la custodia dei figli nel momento in cui si risposa.
Nel 2023 l’Algeria ha cercato di mitigare la situazione con una legge contro la tratta di esseri umani che comprende sia la prostituzione, lo sfruttamento sessuale e il matrimonio forzato. Tuttavia, ancora non è riconosciuto il reato specifico di femminicidio e i tribunali tendono ancora ad avere una maggiore flessibilità sui “delitti d’onore”, denunciano le associazioni femministe algerine. Nel 2021, secondo il collettivo Féminicides Algérie, almeno 62 donne sono state uccise da parenti o conoscenti, anche se è molto difficile arrivare a numeri definitivi per la reticenza delle famiglie a parlare di questi casi.
La speranza quindi è che l’onda mediatica di queste due brillanti atlete possa fare da traino per tutte le donne algerine, per una società più equa e per una maggiore rappresentazione nello sport.
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