La situazione di Padre Andrea Melis, sacerdote e preside della scuola Assarotti che si trova agli arresti domiciliari da venerdì con l’accusa di abusi sessuali su minori, potrebbe diventare ancora più grave alla luce di quanto è emerso dalle perquisizioni: il sacerdote infatti ha contratto una decina di anni fa l’HIV ed è accusato di aver avuto rapporti non protetti con ragazzini, pur sapendo di poterli contagiare. I carabinieri hanno infatti trovato dei farmaci specifici per il trattamento di questa malattia nel corso della perquisizione domiciliare della sua stanza, nella struttura ecclesiastica di via San Bartolomeo degli Armeni.
Una diagnosi che lo stesso Melis ha confermato, chiarendo di aver «contratto il virus dell’HIV dieci anni fa in Africa».
Tale consapevolezza però potrebbe tradursi in accuse di lesioni dolose gravissime, se emergesse almeno una vittima degli abusi del sacerdote ha contratto il virus o fosse sieropositivo a causa dei rapporti non consensuali e non protetti. Un dettagli che, per la giudice Milena Catalano, conferma la pericolosità sociale di Padre Melis, che deve restare almeno ai domiciliari. Nell’ordinanza si legge: «La pericolosità sociale del sacerdote è ancora maggiore se si pensa al fatto che è portatore di HIV e che ha intrattenuto rapporti non protetti con la vittima degli abusi. In questo modo l’ha condannata alla stessa malattia di cui è portatore ma lo ha anche e soprattutto esposto al pericolo di AIDS».
Mentre la Procura ha stabilito una serie di accertamenti sulla patologia del sacerdote, i carabinieri stanno conducendo anche dei controlli sanitari sul giovane di 16 anni che ha denunciato Melis per abusi sessuali per più di tre anni senza alcun tipo di protezione. Il ragazzo per ora è risultato negativo alla profilassi, ma la sieropositività potrebbe ancora manifestarsi, per cui sarà seguito per verificare se le sue condizioni di salute dovessero cambiare.
L’appello dei carabinieri: se ci sono altre vittime si facciano avanti, potrebbero essere in pericolo
Se i capi di accusa già emersi sono quindi congelati, le autorità stanno cercando di capire se ci sono altri minorenni o studenti che nel tempo possono aver subito abusi sessuali per mano di padre Melis. Così come potrebbe essere contestata al sacerdote nel caso in cui emergano nuove vittime e nuovi contagi. Questo anche alla luce dell’appello lanciato nelle ultime ore da Procura e carabinieri alla ricerca di possibili nuovi giovani e studenti che hanno subito abusi sessuali dal sacerdote.
Per ora, dalle indagini sembra che ci siano almeno due studenti che avrebbero evitato che gli approcci e i regali di Melis sfociassero nella vera e propria violenza sessuale. Ma non escluso che ci siano altre vittime che dovrebbero sottoporsi al più presto alla profilassi, anche per evitare di diffondere il virus inconsapevolmente.
Anche se l’HIV non miete vittime come negli anni ’80 e se oggi i farmaci permettono di condurre una vita relativamente normale, rimane una malattia da non sottovalutare. Una diagnosi precoce inoltre è fondamentale per rendere il virus il più innocuo possibile: una terapia antiretrovirale efficace ha carica virale zero del sangue, dunque non trasmette più e, se assunta precocemente, serve sia a rallentare o addirittura bloccare il decorso e l’evoluzione clinica della malattia, ma soprattutto blocca la trasmissione ad altri soggetti.
In Italia negli ultimi due anni sono stati registrati mediamente poco meno di duemila nuovi casi di infezione da HIV, in leggero rialzo ripresa rispetto al 2020
La Liguria nel 2022 era la seconda regione italiana per incidenza di AIDS. Le persone che convivono con l’HIV nella nostra regione sono circa 2.500 e ogni anno si registrano in Liguria circa 70 nuovi casi di infezione, di cui almeno la metà diventa nota quando la malattia è già in fase avanzata, con difese immunitarie basse e quadri clinici severi che necessitano di ricovero ospedaliero.
Ciò è in linea con il dato nazionale, come spiega il dottor Andrea Antinori, Direttore del Dipartimento clinico e UOC immunodeficienze virali dell’I.N.M.I. Lazzaro Spallanzani IRCCS: «il dato più preoccupante e rilevante è che più della metà, il 58% di queste diagnosi è nella fase avanzata della malattia, il che vuol dire che le persone ritardano il test perché inconsapevoli del proprio stato di infezione». Secondo i dati di sorveglianza dell’ISS, nel 2022 il 41% delle nuove diagnosi ha riguardato persone che avevano già sintomi o segni della malattia, dunque con un decorso già in fase molto avanzata.
La mancata protezione e profilassi ha un costo sociale enorme, perché fino alla diagnosi la malattia ha potuto progredire e il malato potrebbe aver infettato altre persone.
Per questo motivo per le indagini sarà fondamentale capire se padre Andrea Melis si sia curato propriamente, minimizzando il rischio di infettare le sue vittime, e se ci sono ragazzi che hanno contratto il virus.
Tuttavia, il quadro incriminante è già molto serio. Nell’ordinanza di arresto, la giudice ha evidenziato come il sacerdote «agisca sotto la spinta di pulsioni perverse, difficilmente controllabili trovando appagamento sessuale solo con il coinvolgimento di minori». Oggi padre Melis dovrà presentarsi davanti al giudice per l’interrogatorio di convalida, ma i suoi legali – Raffaele Caruso e Graziella Delfino – hanno già reso noto che il sacerdote non risponderà alle domande del magistrato, avvalendosi della facoltà di non rispondere.
«Padre Melis è in cura per l’HIV da anni», dichiarano i suoi difensori, «e non è pericoloso»
«Nel rimarcare la drammaticità della vicenda e la piena consapevolezza di tutti gli aspetti che la caratterizzano, riteniamo sia necessario offrire alcune precisazioni. Il primo chiarimento: padre Melis vive con infezione da HIV, ma la sua situazione è in cura da 12 anni presso l’ospedale San Martino e da oltre 10 anni la terapia che sta seguendo ha dato esiti positivi, poiché i controlli che periodicamente esegue confermano la non rilevabilità del virus che quindi è totalmente sotto controllo e, per l’appunto, irrilevante. Quando il virus non è rilevabile, non è nemmeno trasmissibile. Questo è un principio e una conquista dell’infettivologia. Comunemente questo viene definito con l’acronimo U=U (undetectable uguale untransmittable)», hanno scritto in una nota gli avvocati Raffaele Caruso e Graziella Delfino.
Vivendo in tale condizione, continuano i legali, Melis non è tenuto a condividere le informazioni sulla sua saluta, in quanto non costituirebbe un pericolo per altre persone.
«Il secondo dato è quello dell’ultra sensibilità di questa informazione: su questi dati dovrebbe stendersi in maniera totale il velo della privacy per evitare che un dato di paura istintiva, che spesso è dovuta all’insufficienza delle informazioni scientifiche, non provochi uno stigma sulle persone. Il pensiero va ancora una volta alla persona offesa che si trova sulle spalle anche la diffusione di un’informazione di questo tipo che aggiunge il rischio di un peso ulteriore al dolore che la vicenda reca con sé. Padre Melis non aveva comunicato questa notizia a nessuno, né al suo ordine, né alla sua famiglia. Nessuno conosceva questo dato, ma questo silenzio ha una sua legittimità che nasce anche dalle conquiste della scienza. Nonostante il silenzio serbato rispetto ai fatti, padre Melis ha invece comunicato agli inquirenti questa informazione (peraltro acquisita anche attraverso una serie di documenti medici), perché fosse gestita al meglio nell’interesse della persona offesa. Ci troviamo di fronte ad un fatto drammatico in cui non c’era bisogno di questo elemento di narrazione: gli elementi di gravità sono già pesantissimi e forse questa diffusione poteva essere risparmiata all’indagato e ancor più alla persona offesa».
Quanto si sa per ora sulle indagini su padre Melis
Appartenente all’Ordine dei Padri Scolopi, Melis era direttore della Scuola elementare e della Fondazione Assarotti, oltre a presiedere la Fidae Liguria (Federazione di scuole cattoliche primarie e secondarie) e svolgere le mansioni di parroco della chiesa di Sant’Antonio da Padova a Finale Ligure in provincia di Savona. Proprio nel contesto parrocchiale avrebbe conosciuto la vittima che l’ha denunciato, quando aveva appena 12 anni.
Il ragazzo all’epoca frequentava la chiesa, dove prestava servizio anche come chierichetto. Melis aveva iniziato a fargli regali costosi, una stranezza che aveva messo in allarme i genitori, che hanno suggerito al ragazzo di non accettare. Tuttavia, di nascosto dai genitori, gli incontri sono andati avanti per più di tre anni, anche dopo che il giovane si è trasferito a Genova per studiare negli scorsi mesi. Gli incontri avvenivano nell’appartamento messo a disposizione dentro il plesso scolastico dove lui insegnava ed era direttore. Secondo l’accusa, ogni volta che incontrava la sua vittima il prete gli dava 100 o 200 euro, ma non mancavano anche regali come tute di marca e perfino un cellulare da 800 euro. Proprio questi oggetti avrebbero messo di nuovo in allarme la famiglia, insieme alla disponibilità economica non coerente con la situazione del giovane, arrivando poi alla denuncia.
La giudice ha scritto nell’ordinanza per gli arresti domiciliari che Melis ha agito sotto «la spinta di impulsi perversi», approfittando della fiducia dei ragazzini per attirarli «a casa sua, vicino le chiese» e facendoli «accedere a tutto ciò che un adulto proibisce». Un comportamento che lo rende socialmente molto pericoloso in quanto «non è connessa esclusivamente alla sua qualità di sacerdote e di insegnante, da cui è sospeso, ma anche alla sua capacità, acquisita proprio per effetto delle professioni svolte, di avvicinarsi ai minori, di farsi capire dagli stessi, ponendosi come loro amico e complice».