Influencer: è la fine di un’era?
L’articolo Gli influencer e il vizio di nascondere i contenuti sponsorizzati: propongo l’hashtag #pbme ha suscitato molte reazioni da parte dei lettori di Liguria Day.
C’è chi ha ringraziato e chi, risentito, ha detto che è scorretto pubblicare il frame di un video o lo screenshot di un post.
Riprendiamo quindi il discorso dall’inizio e cioè da uno degli argomenti principale dell’articolo: la brutta e dilagante abitudine di molti influencer di nascondere nei modi più svariati la scritta #adv #giftedby #suppliedby o #invitedby.
La scritta #adv sta ad indicare una pubblicità, ovvero un messaggio a pagamento che un’azienda mette in atto per promuovere un prodotto o un servizio.
Ovviamente l’azienda paga l’influencer che presta la sua immagine per veicolare il messaggio.
C’è qualcosa di male in questo accordo tra le due parti? Sinceramente mi sembra proprio di no.
A parte, ovviamente, che si rispettino le norme fiscali che regolamentano l’accordo tra le parti. Ma riprenderò dopo il tema fiscale.
Dicevo che proprio non si capisce per quale motivo molti influencer cerchino, talvolta anche con inaudita goffaggine, di nascondere la scritta #adv.
Se occultare gli hashtag non equivale a non metterli, è indubbio che la buona fede viene meno.
Il Regolamento Digital Chart dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria
Le autorità di regolamentazione in molti paesi, tra cui l’Italia, hanno introdotto normative che impongono agli influencer di dichiarare chiaramente quando un post è sponsorizzato: il Regolamento Digital Chart dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria – lAP – è molto chiaro in proposito.
Vediamo più nello specifico che cosa dice il Regolamento Digital Chart sulla riconoscibilità della comunicazione commerciale diffusa attraverso Internet.
Riconoscibilità
La comunicazione commerciale diffusa attraverso Internet, quali che siano le modalità utilizzate, deve rendere manifesta la sua finalità promozionale attraverso idonei accorgimenti.
L’indicazione relativa alla natura pubblicitaria del contenuto deve essere mantenuta anche nel caso di condivisioni o “repost” dello stesso su altre piattaforme e interfacce online, inclusi i social media.
Nei casi previsti dagli articoli seguenti, il requisito della riconoscibilità si considera sicuramente soddisfatto a fronte dell’adozione degli accorgimenti indicati.
Endorsement
In caso in cui l’accreditamento di un prodotto o di un brand, posto in essere da celebrity, influencer, blogger, o altre figure simili di utilizzatori della rete che con il proprio intervento possano potenzialmente influenzare le scelte commerciali del pubblico, (di seguito, collettivamente, “influencer”), siano essi umani o virtuali, abbia natura di comunicazione commerciale, deve essere inserita in modo ben visibile nella parte iniziale del post o di altra comunicazione diffusa in rete una delle seguenti diciture:
– “Pubblicità/Advertising”, o “Promosso da … brand/Promoted by … brand” o “Sponsorizzato da … brand/Sponsored by … brand”, o “in collaborazione con … brand/In partnership with … brand”;
e/o nel caso di un post entro i primi tre hashtag, purché di immediata percezione, una delle seguenti diciture:
– “#Pubblicità/#Advertising”, o “#Sponsorizzato da … brand/#Sponsored by … brand”, o “#ad” unitamente a “#brand”, “#adv” unitamente a “#brand”.
Nel caso di c.d. “call to action”, l’inserzionista e/o l’influencer devono esortare gli utenti a palesare la natura promozionale del contenuto collegato ad un marchio/prodotto/servizio pubblicato dagli utenti su invito di tali soggetti, tramite l’inserimento degli accorgimenti che precedono.
Nella storia IG di Luca Vezil la scritta Partnership pubblicizzata è assolutamente chiara.
Storie Instagram
Per i contenuti “a scadenza”, quali ad esempio le stories, una di tali diciture deve essere sovrapposta in modo ben visibile agli elementi visivi di ogni contenuto promozionale.
Nel diverso caso in cui il rapporto tra influencer e inserzionista non sia di committenza ma si limiti all’invio occasionale da parte di quest’ultimo di propri prodotti gratuitamente o per un modico corrispettivo, i post o altre comunicazioni diffuse in rete dall’influencer che citino o rappresentino tali prodotti dovranno contenere – in luogo delle avvertenze di cui sopra – un disclaimer del seguente tenore: “prodotto inviato da … brand”, o equivalente.
Nel caso di cui al comma precedente, l’inserzionista deve informare l’influencer, in modo chiaro e inequivoco, al momento dell’invio del prodotto, dell’esistenza dell’obbligo di inserire tale disclaimer.
In questo caso la responsabilità dell’inserzionista è circoscritta alla segnalazione all’influencer dell’esistenza di tale obbligo.
Video
Nel caso in cui un video prodotto e diffuso in rete abbia natura di comunicazione commerciale, devono essere inserite, con modalità di immediata percezione, nella descrizione del video e nelle scene iniziali avvertenze scritte che ne rendano evidente la finalità promozionale.
A titolo esemplificativo: “brand presenta …”, oppure “in collaborazione con … brand”.
Nei video in streaming tali avvertenze, anche verbali, devono essere ripetute nel corso della trasmissione.
In particolare, l’inserimento con finalità promozionali di prodotti/brand di un inserzionista o dello stesso autore del video deve essere portato a conoscenza del pubblico attraverso appositi disclaimer nelle inquadrature di inizio e di fine del video, o in corrispondenza delle inquadrature contenenti la riproduzione dei prodotti/brand.
Nel diverso caso in cui il rapporto tra autore del video e inserzionista non sia di committenza ma si limiti all’invio occasionale da parte di quest’ultimo di propri prodotti gratuitamente o per un modico valore, e tali prodotti vengano citati, utilizzati o inquadrati nel video, quest’ultimo dovrà contenere in apertura un disclaimer, verbale o scritto, del seguente tenore: “questo prodotto mi è stato inviato da …”, “prodotto inviato da …”.
Nel caso di cui al comma precedente l’inserzionista deve informare l’influencer, in modo chiaro e inequivoco, al momento dell’invio del prodotto, dell’esistenza dell’obbligo di inserire tale disclaimer.
In questo caso la responsabilità dell’inserzionista è circoscritta alla segnalazione all’influencer dell’esistenza di tale obbligo.
Violare le regole nuoce a brand ed influencer
La violazione di queste norme può comportare sanzioni significative, sia per gli influencer sia per i brand coinvolti.
Tuttavia, nonostante queste normative, molti influencer continuano a cercare modi per aggirare le regole, mettendo a rischio la loro reputazione e la fiducia del pubblico.
Quando poi vengono colti sul fatto si risentono per essere stati menzionati: insomma, la visibilità va bene sempre e solo se sono loro a volerla.
Alcuni, per mettere una pezza, esagerano con le foto dei figli, come se l’innocenza dei bambini potesse in qualche modo lavare le loro malefatte.
Influencer scrocconi: la moda del #supplied
Non passa giorno, ma che cosa dico, ora, che sulle storie Instagram non compaiano molti dei personaggi più noti a sbatterci sulla faccia hotel da sogno, pranzetti luculliani, ristrutturazioni hollywoodiane.
Quanto sono fortunati a disporre di così tanta pecunia da potersi concedere lussi e vizi negati alla maggior parte dei comuni mortali.
E allora dove sta il trucco? In una scritta, anche questa spesso occultata come quella dell’advertising: #supplied.
Ne avevo già parlato lo scorso anno nel mio articolo Chiara Ferragni docet: l’influencer è l’evoluzione dello scroccone che tutto ottiene e nulla, o quasi, paga.
Sapere che persone che guadagnano cifre ben distanti da un normale stipendio mensile si facciano offrire cibo, vacanze, borse, ristrutturazioni, pieghe dal parrucchiere e quant’altro normalmente si paghi non è un bel messaggio da trasmettere ad adolescenti ignari e ad adulti che magari faticano ad arrivare a fine mesi.
Selvaggia Lucarelli: “E’ ora di tassare lo scrocco”.
Ma oltre all’aspetto prettamente etico che, sono certa, produrrà i suoi effetti esattamente come è accaduto per il fenomeno Ferragni allontanando sempre di più influencer e followers, legato al #supplied c’è anche un tema di natura fiscale.
Selvaggia Lucarelli tre giorni fa in una storia IG ha riportato un passaggio del suo articolo su Il fatto quotidiano proprio in merito a questo tema.
“L’idea che dei milionari debbano farsi offrire pure una coppetta con due kiwi e una mela, inizia a generare un risentimento più che comprensibile.
In un paese con quasi 6 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta, forse gli influencer dovrebbero iniziare a riflettere su quanto il divario sociale, la mancanza di alloggi, il calo del potere di acquisto dei salari siano una polveriera e su quanto i “supplied”, ovvero i benefit concessi a chi i benefit se li può pagare, finiscano per diventare una delle tante “scintille” che accendono la rabbia.
Infine, un’ulteriore considerazione. Il “supplied” è una sorta di Far West dal punto di vista fiscale.
I lavoratori dipendenti pagano le tasse sui benefit eventualmente ricevuti dai datori di lavoro perchè (oltre un certo importo) concorrono alla formazione del reddito personale (auto aziendali, carburante, buoni pasto…).
I supplied sono di fatto delle transazioni commerciali, visto che “il baratto” non mi risulta essere fiscalmente inquadrato.
Faccio un esempio: molti influencer mostrano pavimenti delle loro nuove case interamente “supplied”. Se quel parquet ha un valore di 30 000 euro, l’influencer incassa beni di quel valore e il guadagno è completamente detassato.
Non solo. Spesso l’influencer rivende quei beni (auto, mobili, elettrodomestici) e ha un ulteriore guadagno da un guadagno detassato.
Secondo la fiscalista e esperta in diritto societario Elisa Migliorini: “La ricezione di prodotti gratuitamente può avere implicazioni fiscali.
In molti ordinamenti, se un prodotto viene ricevuto in cambio di una promozione o di un post, il valore di mercato di quel prodotto potrebbe essere considerato come reddito imponibile e, pertanto, soggetto a tassazione.
Ad oggi, nessuno paga le imposte sui supplied. E questo ha favorito il proliferare del “baratto 2.0”.
Del resto, se un influencer viene pagato 20 000 euro per pubblicizzare degli elettrodomestici, sul quel guadagno paga le tasse.
Se quella stessa azienda invece gli regala 20 000 euro di elettrodomestici, è tutto guadagno.
Insomma, forse sarebbe ora di tassare lo scrocco”.
“Il vaso di pandoro”: c’è un prima e un dopo il caso Ferragni – Balocco
Un fatto è certo: il libro di Selvaggia Lucarelli #Ilvasodipandoro ha messo in luce in modo inequivocabile i modi disinvolti e nebulosi degli influencer, partendo appunto proprio dalla pubblicità ingannevole della Ferragni in merito al pandoro Balocco.
La divina Chiara, che l’anno scorso era ormai già diventata un brand, dopo lo scandalo Balocco non è più riuscita a separare la sua persona dalla sua attività. E la caduta, per quanto negata ogni giorno su tutti i social, pare non arrestarsi.
E’ evidente che la Lucarelli ha fatto il suo mestiere di giornalista e che quanti oggi la incolpano della caduta della Ferragni non si rendono conto che la famosa influencer ha fatto, come si suole dire, tutto da sola.
L’indagine della Lucarelli ha inoltre aperto gli occhi a molte persone.
Liguria Day già l’anno scorso si era occupato degli influencer scrocconi e delle foto dei bambini sui social.
E’ però indubbio che #Ilvasodipandoro ha contribuito sensibilmente a legittimare questo genere di ricerca e, soprattutto, ha permesso a milioni di followers di comprendere a fondo come vengono considerati dai loro amati influencer.
I followers hanno aperto gli occhi
Oggi, infatti, i followers che fino a ieri seguivano con cieca ammirazione tutti i consigli dei principali influencer – è il caso di dirlo – hanno un po’ la nausea.
Tra matrimoni, vacanze e case #supplied, pubblicità camuffate e lacrime di coccodrillo, è ormai evidente che urge un cambio di rotta.
Promuovere una cultura della trasparenza e dell’etica nel mondo degli influencer è quindi indispensabile per garantire un rapporto sano e duraturo con il pubblico.
Gli influencer, infatti, hanno una responsabilità significativa nei confronti dei loro follower e della società in generale.
Essere chiari e onesti riguardo alle collaborazioni commerciali non è solo una questione di conformità alle normative, ma anche di rispetto verso i followers che si fidano di loro.
La trasparenza permette al pubblico di capire quando un contenuto è sponsorizzato e di valutare se il prodotto o servizio promosso risponde effettivamente alle loro esigenze.
Questo approccio non solo rafforza la fiducia nei confronti degli influencer, ma migliora anche la percezione dei brand sponsorizzati, che vengono visti come più affidabili e autentici.
Un mercato dell’influencer marketing trasparente ed etico crea un ambiente in cui i consumatori possono fare scelte informate e consapevoli, aumentando la credibilità di tutti gli attori coinvolti.
In definitiva, l’onestà e la trasparenza sono fondamentali per costruire un ecosistema di marketing sano, dove la relazione tra influencer, brand e pubblico si basa su valori di fiducia e rispetto reciproco.
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