Dopo la pubblicazione delle sue sconvolgenti chat con l’estremista di destra e trafficante di droga Fabrizio Piscicelli, il portavoce del ministro dell’Agricoltura, Paolo Signorelli, ha rassegnato le dimissioni. Commenti razzisti e antisemiti, parole in favore dei principali terroristi di destra e personaggi di spicco della malavita romana sarebbero infatti “solo” una parte del ricco scambio epistolare di qualche anno fa tra il responsabile dell’ufficio stampa istituzionale e il famigerato “Diabolik”, criminale capitolino assassinato nel 2019.
Investito da una bufera mediatica e politica, l’ennesima di un paese scosso dagli scandali da Nord a Sud, Paolo Signorelli avrebbe dunque annunciato le proprie dimissioni durante un’intervista con il Foglio. Pur prendendo doverosamente le distanze dal mondo dell’estrema destra e dagli ambienti condivisi con Piscicelli, il giornalista avrebbe quindi ammesso gli errori commessi in passato senza però cercare delle giustificazioni né sfociare in alcuna forma di vittimismo.
Ad ogni modo, la vicenda ha riacceso il dibattito sulla correttezza (o meno) della diffusione di messaggi privati. Se è vero che, come avrebbe dichiarato la presidenza della Camera Penale di Roma, non è più accettabile pubblicare chat personali di soggetti estranei alle indagini, va anche riconosciuto che queste soffiate permettono spesso ai cittadini di scoprire risvolti “poco rassicuranti” della politica locale e nazionale. Dunque, quanto siamo disposti a non vedere in nome di un diritto che, soprattutto nell’era social, risulta sempre meno tutelato e facile da garantire?