Dopo due settimane di raid, l’esercito israeliano abbandona l’ospedale di Al-Shifa lasciando dietro di sé poco più di un cumulo di macerie: le forze di difesa israeliane dichiarano che gli attacchi erano giustificati dalla presenza di terroristi di Hamas, uccisi nei raid o tratti in custodia, e di numerose armi e documenti d’intelligence che comproverebbero la validità dell’operazione.
Le fonti da Gaza tuttavia parlano di decine di cadaveri, molti dei quali in avanzato stato di decomposizione, rinvenuti nel complesso e intorno all’ospedale. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, inoltre, almeno 21 pazienti sono morti nell’ospedale per impossibilità di ricevere i trattamenti durante gli attacchi. L’OMS ha parlato di un vero e proprio assedio al centro di cura.
La ricerca di un accordo per gli ostaggi mentre Netanyahu è sotto i ferri
La decisione di lasciare Al-Shifa arriva mentre una delegazione di Israele si sta recando in Egitto cercando di riaprire i negoziati, nella speranza di riuscire a portare a casa gli ostaggi ancora nelle mani delle milizie palestinesi.
Hamas tuttavia ha dichiarato che non si siederà ai tavoli fintanto che non si dichiarerà una cessazione definitiva della guerra, una posizione inasprita dopo i bombardamenti di Israele su un altro ospedale di Gaza, Al-Aqsa, in cui ieri sono morte almeno cinque persone. Secondo Israele, anche in questo caso si tratta di un rifugio per una cellula jihadista, fra le vittime anche quattro giornalisti.
La popolarità di Netanyahu è in forte calo per la gestione del conflitto e le posizioni tenute finora. Almeno centomila persone sono scese infatti in piazza secondo Hareetz (il principale quotidiano israeliano) ieri sera davanti alla Knesset di Gerusalemme per chiedere elezioni anticipate e il rilascio degli ostaggi. Nei pressi del Parlamento israeliano una parte dei manifestanti ha allestito una tendopoli, che rimarrà in funzione fino almeno a mercoledì.
Manifestazioni anche a Tel Aviv sabato sera, dove le forze dell’ordine hanno utilizzato i cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti dopo che l’ordine di abbandonare l’autostrada occupata è caduto nel vuoto.
Il tutto mentre il premier Netanyahu si sottoponeva a un’operazione di ernia da cui ne sarebbe uscito con successo, secondo il suo ufficio, ed è in fase di ripresa. Prima di ricoverarsi il primo ministro ha ribadito l’impegno per la liberazione degli ostaggi e a una nuova operazione per colpire duramente il nemico, ma la popolazione non sembra più credere alle sue parole e chiede le sue dimissioni.
Il clima politico e sociale in Israele
Si potrebbe pensare che sia passato il momento di cordoglio e unità nazionale visto dopo gli attacchi del 7 ottobre, ma il popolo di Israele appare in realtà più focalizzato sulle urgenze che, accusa, il governo non sembra più condividere: la liberazione degli ostaggi.
Manca ancora un centinaio di persone all’appello e si pensa che un’altra trentina di ostaggi sia morta durante la cattività. Le famiglie continuano a fare pressione perché Israele si dedichi più alla diplomazia per far rientrare a casa quante più persone vive e le salme di chi non è sopravvissuto. L’arresto nella notte di Zebah Abdel Salem Haniyeh, sorella del leader di Hamas Ismail Haniyeh, potrebbe essere una carta in più da giocarsi nei negoziati, quanto meno per riportare il governo palestinese a trattare.
Un sentimento sempre più condiviso anche dalla popolazione, anche perché agli ostaggi e ai morti del 7 ottobre si aggiungono i soldati: 600 militari israeliani. L’ultimo è Nadav Cohen, un ragazzo di appena 20 anni originario di Haifa.
Quella che doveva essere un’operazione lampo di rivalsa e di difesa dopo i gravissimi attacchi di ottobre è diventata una guerra sistemica.
La ripresa degli attentati su suolo israeliano
Sul fronte palestinese si contano almeno 30.000 morti, di cui circa la metà sarebbero bambini. E se Hamas per la prima volta ha chiesto pubblicamente perdono alla popolazione palestinese per le difficoltà
e per le sofferenze causate nella Striscia di Gaza dalla guerra, in una lunga dichiarazione pubblicata sul suo canale Telegram, tuttavia ribadisce il desiderio di continuare a combattere per la “vittoria e libertà” di tutti i palestinesi.
Combattere con tutte le armi possibili, compresi gli attentati: nella giornata di ieri in un centro commerciale di Gan Yavne, nel centro di Israele, un diciannovenne palestinese ha attaccato con un coltello tre cittadini israeliani. Due dei feriti, anche loro giovanissimi, sono stati colpiti alla testa e versano in gravi condizioni, mentre il terzo ha riportato ferite più lievi. L’attentatore, ucciso dagli agenti di sicurezza sul posto, richiamava Mumeen Khalil e proveniva da un villaggio vicino a Hebron, in Cisgiordiania. Era entrato in Israele illegalmente. Sempre ieri un attentato analogo è avvenuto a Beersheba, nel sud di Israele, a una stazione degli autobus. Un palestinese di 28 anni, Naji Abu Freh, ha accoltellato un soldato dell’IDF fuori servizio, che ha riportato ferite minori. Un civile inoltre è rimasto ferito nella sparatoria iniziata per colpire l’attentatore.
Tensione in Israele in vista delle festività musulmane ed ebraiche
Il clima in Israele potrebbe farsi ancora più grave con l’avvicinarsi della fine del Ramadan il 10 aprile – e la gestione degli ingressi sulla spianata delle moschee di Gerusalemme – oltre alle festività della Pasqua ebraica, Pesach, che cominceranno lunedì 22.
E sempre per il periodo del Ramadan Israele è chiamato a rispettare – come del resto Hamas – la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU votata la settimana scorsa, ma sembra voler trovare un accordo a parte attraverso la mediazione dell’Egitto. Il rilascio degli ostaggi diventa ora prioritario per il governo israeliano per mantenere la propria credibilità nel Paese, mentre anche l’appoggio degli alleati internazionali si fa più difficile.
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