L’autore della musica dell’Inno: un grande Genovese dimenticato
La figura del compositore del Canto degli Italiani, noto come Fratelli d’Italia, oggi Inno nazionale italiano, è rimasta come oscurata dal fulgore dell’altro grande personaggio risorgimentale genovese protagonista di questa storia: l’Eroe giovane e bello, morto a soli 21 anni combattendo per la Repubblica Romana, Goffredo Mameli, il poeta, l’autore dei versi dell’Inno, al quale indissolubilmente legò il proprio nome.
Monumento funebre a Goffredo Mameli – Cimitero monumentale del Verano – Roma
Il testo dell’Inno trasmette un messaggio d’intatta efficacia nello smuovere le coscienze: di unità, fratellanza e sprone alla lotta per la libertà, la giustizia e la democrazia. Ma risente anche del tempo trascorso, intessuto com’è di una sintassi complessa e di metafore e citazioni legate al mondo classico e ottocentesco, spesso non familiari all’orecchio diseducato dei contemporanei. Tant’è che ci si limita, in genere, a cantarne le sole due prime strofe.
La musica, invece, è l’essenza emozionale stessa del Canto: parla ai cuori una lingua immortale e universale. Per apprezzare appieno la qualità musicale dell’Inno, andrebbe suonato in modo più disteso: non è una marcia, ma un vero brano operistico.
Per tutti, comunque, l’Inno è di Mameli, non di Novaro.
La fiction Rai Mameli – Il ragazzo che sognò l’Italia ha avuto il merito di far conoscere meglio (se non scoprire) al grande pubblico televisivo, specie ai giovani, una gloriosa pagina di storia nazionale.
E il ruolo fondamentale che Genova ebbe negli eventi che condussero all’Unità d’Italia, grazie all’azione dei grandi Genovesi e Liguri che furono i principali alfieri del Risorgimento democratico, come il protagonista, Goffredo Mameli (1827-1849).
Un discorso a parte meriterebbero due Padri della Patria come Giuseppe Mazzini (1805-1872), mente del Risorgimento repubblicano e Giuseppe Garibaldi (1807-1882), molto legato a Genova, che con il suo inseparabile luogotenente genovese Nino Bixio (1821-1873), com’è noto in tutto il mondo, fu il più attivo fautore militare dell’Unità d’Italia.
Tuttavia, anche la trasposizione filmica del cruciale biennio risorgimentale 1847-1849 ha relegato Michele Novaro (1818-1885), altro grande patriota risorgimentale genovese, al ruolo di comprimario, presentato al Mameli della fiction come “quel tuo amico che viene da Torino”.
Ma chi fu veramente Michele Novaro?
Il compositore dell’Inno, è sepolto nel Cimitero monumentale di Staglieno, vicino alla Tomba di Mazzini, per volere dei suoi allievi, che raccolsero i fondi per fargli erigere un austero cippo sepolcrale nell’area del Pantheon dei Genovesi illustri.
Morì a Genova, a 66 anni, misero e dimenticato maestro di canto.
Le sue origini familiari, comunque, non furono affatto oscure.
Nacque a Genova il 23 dicembre 1818, primo di cinque figli di una famiglia medio-borghese legata al mondo artistico genovese. Il padre Gerolamo, di Dolceacqua, era macchinista del Teatro Carlo Felice. Il fratello Giovanni Battista diverrà architetto ornatista e professore all’Accademia Ligustica.
Michele Novaro in età matura
Sua madre Giuseppina era sorella del noto architetto, scenografo e pittore Michele Canzio (1787-1868), personalità di spicco nel mondo artistico genovese (e non solo). Fu scenografo al Teatro Sant’Agostino. Poi passò al Carlo Felice (inaugurato nel 1828) dove, tra 1832 e 1836 e tra 1850 e 1854, fu anche impresario.
Come architetto è ricordato per la superba sistemazione del Parco di Villa Durazzo-Pallavicini di Pegli. E di vari Palazzi e Ville genovesi.
Il Parco di Villa Durazzo-Pallavicini a Genova-Pegli
Dal matrimonio di zio Michele con Carlotta Piaggio, figlia del noto poeta in zenéize Martin Piaggio, nacque Stefano Canzio (1837-1909), mazziniano, generale garibaldino e, in età matura, presidente del Consorzio autonomo del porto di Genova.
Nel 1861 Stefano sposò Teresita, figlia di Garibaldi (da cui ebbe ben 16 figli!). La numerosa famiglia abitava in via Assarotti, nel centro di Genova.
Quindi Michele Novaro era nipote di Michele Canzio e cugino di Stefano Canzio, genero di Garibaldi.
Ma mai approfittò di tali ‘aderenze’ familiari per fare carriera. Di lui si può dire che, romanticamente, “visse d’arte”, anteponendo i suoi ideali mazziniani e massonici a ogni interesse utilitaristico.
Frequentò dall’infanzia la Scuola gratuita di canto, istituita nel 1829 (da cui deriverà il Conservatorio Nicolò Paganini).
Fu un bravo tenore, ma relegato ‘in seconda’ o a ruoli minori.
Il 6 ottobre del 1838, a 19 anni, cantò alla prima genovese di Gianni di Calais di Donizetti al Carlo Felice. Fu secondo tenore al Regio di Torino nelle stagioni 1841-1843 e 1845. E giunse al top della sua carriera canora nel 1842-44 come secondo tenore nel cast italiano del Teatro di Porta Carinzia di Vienna.
Si segnalò nell’esecuzione di concerti di beneficienza per raccogliere fondi da destinare alle imprese garibaldine.
Nel 1864, rientrato da Torino, fondò a Genova la Scuola Corale Popolare, ad accesso gratuito.
Il destino singolare di questo artista-patriota fu di essere autore di una sola opera passata alla storia: il Canto degli Italiani.
Quando, il 10 novembre 1847, il testo mameliano gli fu recapitato dal pittore genovese Ulisse Borzino, Michele Novaro si trovava in casa del patriota Lorenzo Valerio a Torino, città dove allora lavorava per i Teatri Regio e Carignano.
Fu subito stregato da quei versi.
Così Anton Giulio Barrili nel 1902 riporterà la testimonianza di Michele Novaro, dettatagli nell’aprile 1875:
“Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all’Inno, mettendo giù frasi melodiche, l’una sull’altra, ma lungi le mille miglia dall’idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai, scontento di me; mi trattenni ancora un po’ di tempo in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c’era rimedio; presi congedo, e corsi a casa. Là, senza pure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte. Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d’un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo, e per conseguenza anche sul povero foglio: fu questo l’originale dell’Inno Fratelli d’Italia”.
La prima esecuzione pubblica del Canto avvenne a Genova il 10 dicembre 1847 presso il Santuario di Oregina.
Lo eseguì la Filarmonica Sestrese (tuttora in attività), presenti i giovani autori (Mameli ventenne e Novaro ventottenne). Con un coro inusitato: erano lì convenuti 30.000 o più patrioti in occasione delle celebrazioni religiose e civili per il 101° anniversario della Liberazione di Genova, avvenuta il 10 dicembre 1746 grazie alla rivolta contro le truppe occupanti austro-piemontesi, innescata nel sestiere di Portoria al grido “Che l’inse?” dal monello Balilla.
Fu da subito il canto popolare più amato dai patrioti risorgimentali.
Solo nel 1946 però diverrà Inno nazionale (provvisorio) al posto della Marcia Reale quando, a distanza di un secolo, gli ideali mazziniani s’invereranno nell’Italia finalmente divenuta Repubblica, dopo un nuovo Risorgimento. Ed è Inno ufficiale, non più provvisorio, solo dal 2017
Mazzini non amava molto il Canto. Lo giudicava poco marziale. Nel 1848 ne commissionò un altro a Mameli e Verdi. Ne scaturì il non memorabile Suona la tromba.
Giuseppe Mazzini
Molti altri canti patriottici furono composti nel Risorgimento, ma ne sopravvivono ben pochi. E nessuno superò Fratelli d’Italia per popolarità, qualità poetica e musicale. Unico con dignità di Inno.
Lo riconobbe lo stesso Verdi. Quando, nel 1862, compose l’Inno delle Nazioni per l’Esposizione Universale di Londra, vi infuse tre grandi melodie in grado di esprimere altrettanti spiriti patriottici nazionali: God Save the Queen, la Marsigliese e Fratelli d’Italia, benché solo il primo di questi canti fosse allora un Inno nazionale.
Il Maestro di Busseto fu decisamente antiveggente.
Ora che Genova, dal 2024, è stata finalmente dichiarata Città dell’Inno, dovrebbe ricordarsi di onorare come merita Michele Novaro, uno dei suoi figli più illustri. E, sinora, tra i più trascurati.
Marco Bonetti