Domenica scorsa in Venezuela si è tenuto un referendum sull’annessione della regione dell’Essequibo, che è parte del territorio della Guyana. Secondo i dati ufficiali pubblicati dal governo di Nicolás Maduro, per quanto contestati da molti osservatori e dall’opposizione, hanno partecipato al voto circa 10,4 milioni di elettori venezuelani. Il 95% dei votanti avrebbe espresso un parere favorevole ad annettere la regione confinante al territorio venezuelano.
Motivo della contesa sono le risorse petrolifere dell’Essequibo: le riserve della Guyana, grazie alla scoperta di un giacimento al largo della costa, ammonterebbero a circa 11 miliardi di barili. Un vero e proprio tesoro sottomarino che Maduro ha deciso di reclamare utilizzando il referendum come dimostrazione della volontà popolare. La votazione sarebbe una vittoria incredibile per il Venezuela secondo Maduro, che ha già dato ordine all’azienda petrolifera statale Pdvsa di concedere licenze per lo sfruttamento di petrolio e gas nella regione guyanese. Come conseguenza della potenziale annessione, il presidente venezuelano ha inoltre proposto una legge speciale per vietare lo sfruttamento della regione da parte di aziende petrolifere straniere – in particolare statunitensi – con concessioni e contratti rilasciati dalla Guyana.
Che i guyanesi abbiano interesse o meno a diventare cittadini venezuelani, sembra una questione minore
Maduro ha dato un ultimatum di tre mesi alle compagnie petrolifere non venezuelane per abbandonare l’Essequibo, una regione che copre circa due terzi del territorio guyanese. Il presidente venezuelano ha comunque proposto «un accordo diplomatico, giusto, soddisfacente per le parti e amichevole», sebbene non veda altre possibilità se non che il Venezuela recuperi l’Essequibo. Il piano di Maduro dopo l’annessione prevederebbe anche la creazione della provincia di Guayana-Esequiba, un censimento della popolazione e il rilascio di nuove carte d’identità venezuelane per gli abitanti.
I cittadini dell’Essequibo nel frattempo non sembrano fremere di entusiasmo all’idea di cambiare nazionalità, anzi. Paradossalmente, la regione ha accolto molti rifugiati venezuelani fuggiti durante il periodo più duro della crisi economica iniziata nel 2013 e intensificatasi dopo le ultime elezioni presidenziali del 2019. Il Venezuela vive tuttora la peggiore disoccupazione della sua storia. Oltre a ciò, la popolazione rivendica una differente cultura: la Guyana è infatti un Paese prevalentemente anglofono, in cui le conseguenze del colonialismo britannico si fondono con la cultura delle popolazioni indigene. Un’identità specifica che si teme sarà messa in pericolo da un’assimilazione forzata da parte del Venezuela, che è una nazione di lingua spagnola.
«Si tratta di una minaccia diretta all’integrità territoriale, alla sovranità e all’indipendenza politica della Guyana. La Guyana la considera una minaccia imminente e intensificherà le misure precauzionali per salvaguardare il suo territorio», ha affermato il presidente Irfaan Ali, che immediatamente dopo il voto in Venezuela ha chiesto un colloquio con il segretario generale delle Nazioni Unite e diversi leader del mondo libero per chiedere protezione per il suo Paese e per i confini nazionali.
La disputa sull’Essequibo tra Venezuela e Guyana risale alla fine del XIX secolo
Diverse volte il Venezuela ha rivendicato la regione dell’Essequibo, sostenendo che il fiume omonimo che attraversa il territorio della Guyana dovrebbe essere il confine naturale tra i due Paesi. La Guyana però fa risalire la definizione dei suoi limiti territoriali a un trattato internazionale a seguito di un arbitrato internazionale condotto da Stati Uniti, Russia e Gran Bretagna e ratificato dall’impero britannico nel 1899.
La disputa è tornata a risuonare con più energia da parte di Caracas dopo la scoperta del giacimento sottomarino da parte del colosso petrolifero americano ExxonMobil, nel 2015. La recente scoperta nelle scorse settimane di ulteriori giacimenti, che ha reso la Guyana il Paese con le maggiori riserve di petrolio procapite al mondo. Malgrado il Venezuela sia a sua volta molto ricco di petrolio, l’attività mineraria patisce le conseguenze di una cattiva gestione da parte del governo, delle sanzioni internazionali, di investimenti insufficienti e, non ultima, della corruzione. Nel 2024 si terranno nuove elezioni presidenziali; pertanto non sorprende che Maduro abbia deciso di soffiare sul fuoco del nazionalismo e sui possibili ritorni economici per la popolazione venezuelana dall’annessione dell’Essequibo per cercare di garantirsi la rielezione.
La scelta del referendum come strumento per giustificare un’eventuale annessione con la forza ricorda le tecniche russe nell’Ucraina orientale. Tuttavia non c’è modo di provare l’effettivo risultato del voto per gli osservatori internazionali. Ai cittadini venezuelani infatti è stato chiesto di respingere unilateralmente il processo della Corte internazionale di giustizia (ICJ), di dichiarare Essequibo parte integrante del Venezuela e di estendere la cittadinanza obbligatoria ai suoi abitanti di lingua inglese.
Essequibo, Maduro mobilita l’esercito
Malgrado la Corte internazionale di giustizia abbia ordinato al governo venezuelano di «astenersi da qualsiasi azione che possa modificare la situazione» nell’Essequibo e a entrambe le parti di «astenersi da qualsiasi atto che possa aggravare o estendere la controversia» con un trattato firmato nel 1966, Caracas non riconosce il massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite. Di conseguenza, non si può escludere che Maduro stia preparando un reale tentativo di occupazione armata.
«La gente teme un’invasione», ha confermato un giornalista dalla capitale guyanese, Georgetown. «Il Venezuela è un Paese con un potente esercito e risorse contro una piccola nazione di appena 780.000 abitanti».
Come ha commentato Luiz Inácio Lula da Silva, presidente del Brasile, l’ultima cosa di cui il mondo e il Sud America hanno bisogno in questo momento è un’altra guerra. Lula si è anche proposto come mediatore nella contesa: giovedì si dovrebbe tenere un vertice tra le due nazioni, grazie anche al lavoro diplomatico della Celac (la comunità degli Stati latino-americani e caraibici). Tuttavia Maduro starebbe già ammassando truppe al confine con la Guyana.
«Quello che ci preoccupa è che Maduro ha dato istruzioni specifiche e tutte si riferiscono all’occupazione del nostro Essequibo», ha detto il ministro degli Esteri guyanese, Hugh Todd. «Interpretiamo queste azioni come una minaccia diretta alla nostra sovranità nazionale e abbiamo ovviamente intenzione di mandare un forte segnale al Venezuela. La Guyana proteggerà la sua integrità territoriale. La nostra attenzione rimane alta».