Continuano le iniziative di Regione Liguria per il contrasto della violenza di genere e domestica: nella giornata di oggi fino alle 17, nella Sala Auditorium del Galata Museo del Mare, si tiene il primo convegno aperto al pubblico di Regione Liguria dedicato al tema della violenza economica.
“Violenza economica: un’altra forma di violenza di genere” mette al centro l’importanza di promuovere la formazione, l’empowerment femminile e una progettazione condivisa per la prevenzione e il cambiamento. La violenza economica è una forma di sopruso tra partner meno conosciuta e meno esplicita, ma che contribuisce spesso a rendere impossibile per le donne allontanarsi da un compagno abusante.
Ci sono diverse modalità in cui questa violenza si manifesta, dal non avere accesso al mondo del lavoro – e quindi ad avere guadagni propri a tutelare l’indipendenza personale – a non poter gestire o anche solo controllare i conti bancari familiari. Ne soffrono donne che, seppur lavorando, devono consegnare lo stipendio al marito e chiedere poi il permesso per le spese più insignificanti. Altre forme sono il coinvolgimento in operazioni finanziarie di cui non si ha il controllo, come l’intestazione di finanziamenti, che penalizzano poi la donna nel momento in cui i conti non tornano.
Possono sembrare situazioni da secolo scorso, eppure il pregiudizio che le donne non dovrebbero occuparsi di soldi rimane molto vivo
Basti pensare che, come certificato da Global Thinking Foundation in un recente studio, il 42% delle donne intervistate non possiede un conto corrente intestato personale; il 12,9% ha solo un conto cointestato con il proprio partner (11,6%) o un altro familiare, mentre il 4,8% dichiara di non averne alcuno, meno cointestato. Le decisioni finanziarie del nucleo familiare sono prese insieme al partner solo in una percentuale che tra il 49,5 al 65,9% dei casi. Un terzo delle intervistate dichiara inoltre di non saper impostare un budget famigliare.
Questa fotografia è abbastanza critica anche in un contesto di famiglia “normale”, ma cosa succede quando il partner che gestisce i soldi è anche abusante? Quali difficoltà si trova ad affrontare una donna che viole sì prendere le distanze, ma non ha il denaro per andarsene?
Secondo l’Assessore alla Pari Opportunità di Regione Liguria, Simona Ferro, la violenza economica è «un tipo di violenza forse meno conosciuta, un pochino più nascosta ma sicuramente più subdola che spesso porta proprio poi alla violenza fisica. Abbiamo davvero voluto come Regione Liguria per la prima volta organizzare un convegno proprio su questo tema, infatti voglio ringraziare le funzionarie che collaborano con me nel settore Pari opportunità».
L’Assessore ha ringraziato inoltre per la preziosa collaborazione la Banca d’Italia che attraverso i propri portali si occupa proprio di alfabetizzazione finanziaria. «Ringrazio anche la presidenza del Consiglio Notarile di Genova e Chiavari, la Dott.ssa Rosaria Bono e ricordiamo anche l’importante apporto di Anpal, l’Agenzia Tecnica del Ministero del Lavoro», ha aggiunto.
Il convegno contro la violenza economica vuole essere un inizio per un ciclo di iniziative sul tema della violenza di genere
«Abbiamo scelto questa data, il 29 novembre, perché vuole sempre un trampolino di lancio per tutta la cittadinanza. Da oggi vogliamo davvero iniziare ad aprire le porte a tanti eventi. Oggi si parlerà di violenza economica da più punti di vista: avremmo infatti una rappresentanza del mondo produttivo, del mondo culturale, del mondo della scuola. Avremo le istituzioni, i centri antiviolenza, i centri dedicati agli uomini autori di violenza, tutti insieme in sinergia per affrontare davvero da vari aspetti questo grande e importante tema. La speranza davvero è di poter sviluppare delle iniziative che ci vedranno poi partecipi nell’organizzazione del corso, anche nel nuovo anno, di altri eventi come quello odierno», continua l’Assessore Ferro.
La violenza economica colpisce il territorio nazionale ma non in maniera uniforme. Si registrano casi anche in Liguria, anche se non con i numeri del Meridione, dove ancora il ruolo del “padre padrone” è culturalmente più radicato nelle tradizioni.
«Purtroppo anche in Liguria», spiega Ferro, «registriamo casi di donne che sono prive di un conto corrente bancario. Ecco questo indica appunto la volontà purtroppo dei loro compagni di esercitare un controllo, di creare umiliazione nella donna che grazie proprio a questa privazione, appunto, può essere meglio controllata e ridotta a una situazione di sudditanza. I casi che si registrano comunque in Liguria di violenza sono comunque abbastanza e quindi indubbiamente alcuni sicuramente generati anche da questa mancanza della dignità della persona».
Nel 2023, già 1180 donne hanno chiesto aiuto ai centri antiviolenza in Liguria
«Si parla di 1180 chiamate di aiuto nell’anno 2023, anche se il bilancio completo dell’anno lo faremo poi nel 2024. Di queste, 882 donne sono state prese in carico dei centri antiviolenza. Per quanto riguarda le denunce di violenza economica, quest’anno sono meno di 300, anche se poi dai colloqui esce fuori che però tanto oltre a questo numero. Molte in realtà hanno cominciato proprio a patire di atti di violenza sul piano economico», continua l’Assessore di Regione Liguria. «Quindi devo dire che comunque si tratta di dati allarmanti e quindi sono davvero contenta di aver organizzato questo evento, proprio per poter fare anche da cassa di risonanza, anche sotto questo profilo».
Per denunciare le donne devono essere consapevoli di essere vittime di violenza economica
L’aspetto subdolo della violenza economica è, infatti, che è molto difficile riconoscerla come forma di abuso. Soprattutto per quelle donne che sono cresciute in un contesto analogo, dov’era o è sacrosanto che il denaro della famiglia sia controllato dall’uomo di casa. Riconoscere la violenza nell’umiliazione nel doversi giustificare per una piccola spesa quotidiana o nel dover chiedere una specie di paghetta, alla stregua dei figli, è più complesso che in un pugno o in una minaccia di morte.
Anche per questo, spiega il Professor Enrico Di Bella dell’Università di Genova, è difficile avere una stima realistica di quante persone soffrano di violenza economica in Italia.
«Gli ultimi dati italiani che abbiamo a disposizione sono del 2016 e davano un miglioramento, seppur rilevanti, perché comunque un 6% delle donne in Italia risultava essere vittima di violenza economica. Il fatto che questi dati siano incompleti potrebbe in realtà mascherare percentuali molto più alte. Se andiamo a vedere il panorama internazionale – quindi Paesi come l’Inghilterra e l’Australia – la percentuale è molto più alta, stiamo parlando di una donna ogni 11. Quindi è facile credere che anche in Italia ci sia una componente latente di violenza economica che non risulta dalle statistiche, dai dati o dalle denunce, e quindi sia molto più alta.
Serve un’autocoscienza alla comprensione di una situazione critica; effettivamente se la donna non si rende conto che anche cose che ritiene piccole, in realtà, sono soprusi, limitazioni della libertà, limitazioni della propria sfera di autonomia, a questo punto non emerge e quindi questo è un aspetto importante. Quindi è importante un fattore culturale di educazione anche nella comprensione di una situazione di segregazione: l’autosegregazione è uno dei grossi problemi della nostra società e della disuguaglianza di genere. Quindi se le donne non sono consapevoli del fatto di essere discriminate, di essere soggette a violenza economica, che è una forma di violenza psicologica, vengono convinte che sia normale controllare la lista della spesa o la carta di credito o il Bancomat o i contanti, non avere autonomia economica, allora tutto questo è chiaro che porta a una solo dimensione del del fenomeno».
Enrico Di Bella, docente di statistica UNIGE
Di Bella ha analizzato anche quali gruppi di donne dal punto di vista demografico e sociale sono più a rischio di violenza economica
«È un fenomeno che sicuramente si sente di più nelle classi con livello di istruzione più basso, perché comunque la formazione e l’educazione portano alla comprensione dell’anomalia, della non correttezza di certi atteggiamenti di fidanzati, mariti, compagni e partner in generale. Pertanto l’istruzione e l’educazione sono degli strumenti fondamentali per superare questo problema», ha commentato ancora il docente dell’Università di Genova. «La strada è ancora molto lunga e ce lo dimostrano proprio le statistiche internazionali. Dati comunque che sono, abbiamo detto, ancora limitati ancora».
Sorprendentemente, segnala Di Bella, si riscontra una maggiore tolleranza da parte delle ragazze giovani rispetto a soprusi, quali ad esempio il controllo del telefonino e il controllo psicologico.
«Ovviamente dipende anche da livello dell’educazione. La violenza economica si ritrova poi nelle fasce più anziane, più avanzate. Quindi il controllo in realtà è accettato da anche da delle ragazze, forse perché in alcuni casi il controllo viene interpretato come gelosia e alcuni ritengono la gelosia anche un elemento positivo del racconto di coppia. Quindi è un discorso estremamente complesso e bisogna lavorare molto sull’educazione».
L’impegno del Comune di Genova contro la violenza domestica
«Forme di violenza come quella economica – quando la donna viene privata del lavoro, di interazioni, di un conto corrente – non sono meno gravi dell’abuso fisico. Anzi, è molto serio quando una donna decide di uscire da questa situazione e di conseguenza si trova a non poter essere autonoma e indipendente e quindi dover sostener sia se stessa che propri figli in una condizione nella quale non è autonoma», spiega l’Assessore Corso. «Già a livello centrale il ministero ha investito sull’empowerment femminile. Inoltre sono stati investiti a livello nazionale 9 milioni per il reinserimento sociale e lavorativo delle donne che decidono di uscire da una situazione di violenza e che quindi devono essere agevolate a poter tornare all’interno della società in maniera autonoma, però anche a livello locale dobbiamo sicuramente fare di più».
Corso ha ricordato che il Comune di Genova ha appena inaugurato un nuovo progetto con i centri antiviolenza per cercare di dare una risposta immediata, favorendo quella che è l’accoglienza delle donne che sfuggono da situazioni di violenza.
«Sicuramente trovare loro una sistemazione intanto anche abitativa non è scontato e non è banale: proprio perché queste persone che scappano spesso sono accolte nelle case rifugio, ma i tempi con cui possono accedervi non sono immediati e non sono soluzioni definitive. Il progetto del Comune vuole proprio venire incontro a questo tipo di esigenza».
Altre iniziative a livello locale possono essere convenzioni con aziende del territorio genovese
«Poi sicuramente anche grazie alla collaborazione con i centri antiviolenza e tutte le associazioni del terzo settore che si occupano appunto di questo tema, bisogna favorire appunto gli inserimenti nel mondo del lavoro», conclude Francesca Corso. «Sicuramente bisognerà agevolare anche quelle che sono le aziende per assumere queste donne, proprio per far sì che – appunto – possano uscire da queste situazioni. La paura di non potersi gestire economicamente spesso è ciò che impedisce loro di abbandonare il contesto di violenza in cui vivono».
A Genova sono al momento attivi tre centri antiviolenza – Mascherona e Per non subire violenza (che ha sportelli anche ad Arenzano e Recco) in centro città e Casa Pandora Margherita Ferro a Certosa. Se ci si ritrova nelle situazioni di violenza economica descritte o si conosce una donna che vive abusi del genere, si raccomanda di chiedere aiuto ai centri, oppure di chiamare il numero unico 1522.
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