Alfonsina Strada
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Alfonsina Strada, la regina della Pedivella

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Amici sportivi di Liguria Day, eccoci di nuovo in pista a parlare di sport. Perdonatemi oggi avremo ancora un fuori programma (qualcuno se non lo ha fatto vada leggere la cronaca di due cronisti speciali al festival dello sport di Trento del mese scorso). Per la puntata odierna non vi descriverò uno sport come magari vi sareste aspettati ma bensì voglio mettere in risalto una donna che era nata per pedalare in bicicletta. Ma non per andare al lavoro, in chiesa o a fare qualche commissione in paese come potreste pensare; no, lei era nata per correre e voleva farlo quando in quegli anni lo sport e molto altro era un argomento per soli uomini. Ma lei, tenace e testarda, convinta delle sue possibilità e del fatto che essere pari è doveroso e giusto, invece gareggiò e qualche volta vinse perfino…

Alfonsa Rosa Maria Morini  da coniugata Alfonsina Strada (Castelfranco Emilia, 16 Marzo 1891 –Milano 13 Settembre 1959)

Nata in una famiglia povera e numerosa, abituata a lavorare la terra senza sfarzi tirando avanti con grande fatica e tanti sacrifici, in un periodo storico dove per la povera gente la vita era dura perché doveva lottare contro miseria e malattie.

A fine Ottocento, primi Novecento, la bicicletta era il mezzo di trasporto di massa. Era cultura popolare che pedalando si faceva strada conquistando la vita giorno per giorno e la bicicletta non era un gioco ma una necessità, che però permetteva di sognare.

Un giorno il padre, pover’uomo, acquistò dal medico del paese una bici sgangherata ma efficiente e fu così che Alfonsina imparò a pedalare. E sarà stato per divertimento oppure per il vento che le accarezzava le guance e i capelli, oppure per la soddisfazione di fare più strada pedalando rispetto che andando a piedi, Oppure semplicemente perché lei era nata per pedalare:  Alfonsina iniziò a gareggiare di nascosto fin da ragazzina. Ai genitori diceva che andava a Messa e invece partecipava a delle competizioni; pare che una volta abbia anche vinto un maialino, che per i tempi era certamente meglio di una coppa e medaglia.

Quindi chilometro dopo chilometro, Alfonsina iniziò a diventare popolare. A casa però la posero ad un bivio: o ti sposi e fai quel che ti pare oppure scendi dalla bicicletta e facciamo finta che non sia successo nulla. Un “aut aut” pesante, dovuto al fatto che una donna con troppe aspettative sportive non era molto ben vista.

Ma Alfonsina, che agli occhi di tutti sembrava matta, non poteva rinunciare alla libertà e alla soddisfazione che le dava pedalare, così a 24 anni – nel 1915 – si sposò e per regalo di nozze dallo sposo invece che un anello con brillante ricevette una bicicletta da corsa.

Così la regina della pedivella nel 1917 si recò a Milano alla sede della Gazzetta dello Sport per iscriversi al Giro della Lombardia. Il regolamento non lo vietava e forse sperava che fosse venuto il momento di sfidare gli uomini sul loro stesso campo.

Morale: Alfonsina partecipò e terminò tutti i 204 chilometri; non vinse ma arrivò fino alla fine della corsa, cosa che significava ancor più di una vittoria.

«Vi farò vedere io se le donne non sanno stare in bicicletta come gli uomini»

Che forza e che coraggio questa donna!

Ormai la carriera di Alfonsina era avviata. Ma nel 1924 il destino ci mette lo zampino: il marito viene ricoverato in manicomio e viste le limitate conoscenze mediche dell’epoca, a quel punto correre e fare bene, per Alfonsina diventava anche una vera e propria questione di vita o di morte.

Spettava a lei, sostenere le spese mediche del marito, e per farlo dovette puntare su stessa: decise di partecipare al Giro d’Italia, che voleva dire guadagnare soldi oltre che stima e fiducia. Venne accettata a gareggiare fra scetticismo e curiosità, quasi fosse una bestia rara o un’eroina.

Tappa dopo tappa la regina della pedivella guadagnava soldi e consensi. La sua storia commovente arrivava dritta al cuore delle persone, alle quali – nonostante le difficoltà del tempo – la generosità comunque non mancava.

Ad una tappa nel Centro dell’Italia Alfonsina arrivò, per cause di forza maggiore, fuori tempo massimo e, secondo i termini del regolamento, rischiò l’esclusione dal giro. Le venne infine concesso di continuare la gara, perché estrometterla non sarebbe stato giusto e sarebbe stata una decisione davvero impopolare, tuttavia partecipò fuori classifica. Di 90 che parteciparono al Giro ne arrivarono in fondo in 30, e fra di loro uno non era maschio.

«Sono una donna, è vero. E può darsi che non sia molto estetica e graziosa una donna che corre in bicicletta. Vede come sono ridotta? Non sono mai stata bella; ora sono…un mostro. Ma che dovevo fare? La puttana? Ho un marito al manicomio che devo aiutare; ho una bimba al collegio che mi costa 10 lire al giorno. Ad Aquila avevo raggranellato 500 lire che mi servirono per mettere a posto tante cose. Ho le gambe buone, i pubblici di tutta Italia (specie le donne e le madri) mi trattano con entusiasmo. Non sono pentita. Ho avuto delle amarezze, qualcuno mi ha schernita; ma io sono soddisfatta e so di avere fatto bene.»

(Alfonsina Strada)

Dopo il Giro d’Italia del 1924 Alfonsina Strada non ebbe mai più il pass per partecipare ad altre edizioni ma restò comunque in attività, vinse ancora e dovunque andasse riceveva ammirazione e attestati di sostegno.

A 43 anni partecipò in Francia al primo campionato mondiale, non ancora organizzato ufficialmente, arrivando quindicesima.

Nel 1950, rimasta vedova, a Milano si risposa con un ex ciclista che in passato l’aveva sostenuta. L’uomo conoscendo la sua storia avrebbe voluto scriverle una biografia da lasciare ai posteri ma non fece in tempo perché nel 1957 venne a mancare pure lui!

Ancora una volta la bicicletta rimase la sua ancora di salvezza pronta ad alleggerirle l’animo da peso di tante sventure.

Anche in età avanzata Alfonsina non smise mai di seguire le due ruote. Ma nel 1959, dopo anni di vittorie, conquiste e tanti dolori e sacrifici, Alfonsina – che aveva il cuore troppo affaticato se ne andò all’età di 68 anni.

Di sicuro lassù San Pietro l’aspettava con la corona d’alloro da mettere al collo prima di stringerle la mano e dirle con un sorriso: “Benvenuta in paradiso qui le strade non sono in salita e il percorso è illimitato, non ci sono uomini o donne, non c’è differenza fra gli uni e gli altri, qui il colore della pelle è irrilevante, la religione non serve, la ricchezza neanche e la povertà non esiste, non serve mangiare e di fame non morirai, qui non si piange o ci si dispera al limite puoi ridere e ballare saltando su una nuvoletta  e se hai lasciato la sotto la tua bicicletta qui non ne hai bisogno la livella ha messo tutto a posto

.“Come s’unisce al brusio / dei raggi, il mormorio! / Annina sbucata all’angolo / ha alimentato lo scandalo. / Ma quando mai s’era vista, / in giro, una ciclista?”

(Giorgio Caproni)

Foto di copertina: Fit5.it

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Info Walter Festuccia

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Walter Festuccia, Roma 16 Marzo 1958, diplomato come aiuto scenografo presso il Cine Tv di Via della Vasca Navale di Roma. Artista per natura, artigiano per tradizione, pittore, scrittore. Per il mio stile utilizzato nello scrivere, amo definirmi jazzista della parola, tutto di me è racchiuso in queste definizioni. La mia scrittura, anche se è apparentemente espressa in maniera ironica e demenziale, lascia sempre una finestra aperta oppure un indizio rivolto all'attualità, tutto in un mix di fantasia quasi astratta che diventa con ciò il mio linguaggio espressivo. Come pittore, l'astrazione, l'informalità e l'uso manuale e gestuale della materia sono il mio "io" dentro di me che quando dipinge o scrive si lascia guidare dalla passione e dall'immaginazione attraverso la quale riesco a "vedere" la scena e a "sentire" i dialoghi di ogni mio componimento. Firmo testi e opere come Walter Festuccia oppure Walter Fest.

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