Dopo il procedimento per direttissima per il sequestro e la tortura di Alberto Scagni, i due detenuti marocchini riconosciuti responsabili dell’agguato sono trasferiti in due diversi istituti di correzione. Oltre all’omicida di Genova, coinvolto nel sequestro anche un altro carcerato per impedirgli di dare l’allarme.
I due responsabili erano in condizioni mentali alterate, probabilmente per abuso di farmici e di alcolici preparati in cella artigianalmente facendo macerare della frutta fresca. Dopo il doveroso passaggio al Tribunale di Imperia, ieri mattina il Dipartimento l’Amministrazione Penitenziaria di Sanremo ha disposto il trasferimento.
Nel frattempo, gli avvocati Alberto Caselli Lapeschi e Mirko Bettoli, legali di Alberto Scagni, hanno depositato un esposto presso la Procura di Imperia perché emerga cosa è successo nella notte tra mercoledì e giovedì, a cominciare sul motivo per cui il loro assistito divideva la cella con altri detenuti.
Scagni, che ha ricevuto una condanna a 24 anni e sei mesi per l’omicidio della sorella Alice ed è stato dichiarato semi infermo, era stato trasferito a Sanremo dopo una prima aggressione avvenuta nel carcere di Marassi. Secondo i suoi avvocati, sia la casa circondariale di Genova che quella di Sanremo avrebbero mancato di comunicare in maniera pertinente sulle condizioni della detenzione, malgrado diversi solleciti anche via PEC.
Alberto Scagni dovrebbe essere svegliato dal coma farmacologico domani mattina
Operato d’urgenza dopo il violento pestaggio subito e tuttora intubato, l’induzione al coma si è resa necessaria per permettere alla cartilagine della tiroide e alla laringe fratturata di stabilizzarsi. Una volta svegliato, Scagni riceverà ulteriori accertamenti per verificare le sue condizioni cliniche. L’altro dubbio sollevato dai legali è il motivo per cui l’aggressione – così brutale da essere definita un vero e proprio atto di tortura – sia potuta andare avanti per ore prima di un intervento.
Dopo averlo chiuso in un bagno, i due responsabili hanno picchiato Scagni e l’altro detenuto con sedie e sgabelli prima di torturarlo. Solo la polizia penitenziaria ha impedito che nel carcere di Sanremo si consumasse un omicidio. Uno degli agenti intervenuti ha riportato la rottura di due costole e una prognosi di 21 giorni.
Quello subito da Scagni è l’ennesimo episodio di violenza che avviene nelle carceri liguri e di tutta Italia, a prescindere dai due detenuti trasferiti
Il sovraffollamento in particolare – di cui potrebbe essere vittima anche Scagni, visto che al momento dell’aggressione condivideva la cella con altre persone – contribuisce a creare un ambiente pericoloso ed esplosivo, dove per un nonnulla può scatenarsi la violenza più feroce.
«Si vede che l’ultima circolare diramata dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Russo, tanto decantata sulla stampa, dal Sottosegretario al Ministero della Giustizia, Andrea Ostellari», commenta il segretario regionale della Uil Fabio Pagani «e finalizzata a contenere la spirale di violenza che si registra nelle carceri, con continue aggressioni al personale, risse fra detenuti e, talvolta, persino omicidi, non sembra affatto risolutiva e, anzi, pare ripercorrere le direttive già vigenti e, per lo più, inattuate».
Il sindacalista a inizio novembre aveva denunciato l’esclusione della Liguria nella ripartizione dei fondi nazionali per ristrutturare le carceri. Le case circondariali della Liguria, sei in totale, sono strutture mediamente vecchie (Marassi sorge nel 1800 e non subisce importanti interventi di ammodernamento dal 1990, l’istituto di Sanremo risale al 1930, per citare i casi coinvolti nella vicenda), tutte in sovraffollamento. Particolarmente seria la situazione a La Spezia, dove il carcere ha al momento due piani del tutto inagibili. Pagani aveva chiesto in quell’occasione alle istituzioni di non dimenticarsi della Liguria e sopratutto della Polizia penitenziaria.
La Polizia penitenziaria continua a segnalare le condizioni di lavoro poco sicure nelle carceri della Liguria
Il fatto che i due detenuti responsabili dell’aggressione a Scagni siano stati trasferiti non garantisce che non sarà vittima di ulteriori attacchi, né la sicurezza per i nuovi compagni o gli agenti delle carceri di destinazione. Il rischio è un pericoloso domino che sposta ma non risolve la violenza. Il sovraffollamento si fa particolarmente pericoloso quando si obbligano colpevoli di crimini violenti a condividere lo spazio di una cella, a scapito anche della sicurezza dei poliziotti che hanno a che fare con loro. A settembre a Marassi un detenuto per un crimine minore è stato assassinato dal suo compagno di cella per futili motivi, un altro caso di violenza ingiustificata.
«La violenza e le aggressioni alla Polizia penitenziaria, oltre quattro al giorno quelle più gravi, si combattono con la sicurezza, la prevenzione, l’organizzazione, gli equipaggiamenti e, quando occorre, con la repressione concreta», ribadisce il segretario della UILPA Polizia Penitenziaria. «Il mero trasferimento dei detenuti facinorosi, per quanto a volte necessario proprio per la mancanza di tutto quanto anzidetto, non solo non è risolutivo, spostando il problema da una parte all’altra, ma aggrava il già insostenibile carico di lavoro del Corpo di polizia penitenziaria che deve operare le traduzioni, finendo per ripercuotersi proprio sui livelli di sicurezza e così alimentando un circolo vizioso».
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