Deludente, l’immagine del Senato praticamente vuoto mentre cominciava ieri la discussione sul nuovo testo di legge contro la violenza sulle donne. L’ennesimo femminicidio nel nostro Paese ha scatenato un’ondata di protesta in tutta Italia e la richiesta di associazioni, centri antiviolenza ma anche di cittadine e cittadini per un maggior impegno per prevenire la violenza di genere.
La brutale morte di Giulia Cecchettin per mano di un giovane che diceva di amarla ha spiazzato la nazione. Una vita spezzata a 22 e a pochi giorni dalla laurea, con un mondo di possibilità davanti, non si può spiegare. Non si riesce per molti a capire come possa un uomo tanto giovane – e, a suo dire, tanto innamorato – arrivare a commettere un omicidio definito dai pm «di inaudita ferocia» e disfarsi del corpo in un lago, pur di non accettare la fine di una relazione.
E mentre il tribunale dell’opinione pubblica si scatena nel cercare un colpevole facile che non sia l’uomo che ha effettivamente ucciso – per ora alla gogna sono finiti i genitori di oggi, i social network, la mancanza di valori saldi, la fragilità dei giovanissimi, la musica trap, i film e le serie tv violenti – la politica non riesce a dare una risposta alla rabbia di tantissime donne e tanti uomini che vogliono vedere un cambiamento. Nel frattempo a Fano è morta una donna di 66 anni per mano del marito, quasi a ricordare che la violenza non è solo un problema dei “ragazzi di oggi”, ma è sistemica e tocca tutte le generazioni e tutte le classi sociali.
La morte di Giulia Cecchettin non si presta a una narrazione “facile” per la politica
Giulia è stata uccisa da un uomo che conosceva, italiano, di buona famiglia e senza problemi di droga né precedenti penali. Un cosiddetto “bravo ragazzo”, non un mostro che si può additare come un corpo estraneo, dalla società. La sorella della vittima, Elena Cecchettin, ha chiamato più volte negli ultimi giorni in causa la società, che troppo spesso giustifica e minimizza comportamenti abusanti quali gesti d’amore, e chiedendo un cambiamento radicale nel modo in cui si affrontano reati come questo.
Ma un cambiamento sociale profondo richiede un lavoro e un investimento di risorse e di tempo a lungo termine, non si può ottenere con un video di 90 secondi o con un paio di iniziative spot. Forse anche per questo nella giornata di ieri in Senato sembrava risuonare l’eco, tra i seggi vuoti, mentre cominciava la discussione per calendarizzare il disegno di legge del governo per contrastare la violenza di genere e domestica.
Susanna Camusso, senatrice PD e già leader della Cgil, nel corso della discussione ha postato su X una foto dell’emiciclo quasi deserto
Un’immagine che però ha ricordato che il problema è bipartisan, come le poltrone tanto vuote dal lato della maggioranza quanto da quello dell’opposizione testimoniano. Ai banchi del governo compare solo la Ministra per le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, una presenza dovuta visto che la proposta di legge è sua. Poi però le da il cambio la sottosegretaria alla Difesa Isabella Rauti, a sua volta sostituita dopo una ventina di minuti il Ministro per i Rapporti col Parlamento Ciriani. Una sorta di staffetta deludente. Tuttavia sui banchi dell’opposizione non c’è certo il pienone.
Il patriarcato non ha colore politico, lo dimostrano le sedute del Parlamento fin dal termine del conflitto, quando le rappresentanti dei Gruppi di Difesa della Donna e del Cif dovettero impuntarsi e dialogare con tutti i partiti per portare a casa il tanto agognato diritto di voto e di elezione per le donne italiane. Poi la battaglia all’assemblea costituente, le lotte per garantire pari diritti e dignità alle cittadine della nuova Repubblica. Di decennio in decennio, le femministe si sono battute a lungo con questo obiettivo perché le donne fossero libere di decidere per se stesse e sottrarsi alla violenza. Eppure c’è ancora tanto da fare.
Il problema della violenza di genere è che è un tema complesso e che non ha particolare appeal politico
Affrontare questo tema richiede di mettere in discussione molti privilegi maschili e una mentalità condivisa anche da molte donne: basta rivedere le ultime sentenze che hanno fatto notizia nel 2023, il bidello assolto dall’accusa di molestia di una studentessa minorenne perché palpata “per poco tempo e per scherzo”, per citarne una, firmata da una giudice donna. Oppure si può pensare al comportamento dei politici di spicco che si trovano a difendere i figli da accuse di stupro. Un contesto che ha reso personaggi agli antipodi come Beppe Grillo e Ignazio La Russa improvvisamente simili, quanto meno nel creare illazioni sul comportamento e sulla reputazione delle presunte vittime per difendere i propri rampolli.
La telefonata tra Elly Schlein e Giorgia Meloni per seppellire l’ascia di guerra a fronte della violenza di genere sembra inizialmente cadere nel vuoto per mancanza d’interesse collettiva. Non certo una bella immagine, in particolare per la presenza di una una scolaresca di Colle val d’Elsa che assiste dalla tribuna al Senato vuoto mentre si discute la nuova legge contro la violenza sulle donne.
La denuncia di Susanna Camusso, ripresa poi da Alessandro Gassman con l’hashtag #nacosatriste, diventa rapidamente virale
Forse anche in virtù della discussione sui social network, ma nel corso della discussione qualche volto in più compare, tra cui proprio Ignazio La Russa, presidente del Senato.
Tuttavia la discussione rimane di un livello penosamente basso. Tra i picchi negativi, l’intervento di Antonio Guidi di Civici d’Italia-Noi Moderati, che in Senato pensa bene di esprimersi per simboli fallici: «Abbiamo bisogno di esempi vincenti nelle donne. Possibile che per la prima volta abbiamo un presidente del Consiglio donna e quasi sembra che abbia fatto dispetto a troppa gente? Ma non dà coraggio a milioni di donne sapere che per la prima volta c’è un presidente del Consiglio donna, ca..o?».
Parole censurate dalla presidente di turno, Anna Rossomando del PD, che ammonisce il collega: «I termini da usare in Aula non sono quelli da bar. La lingua italiana offre una possibilità tendente all’infinito».
Non sorprende dunque se alla fine l’intento di trovare una convergenza su un testo unitario rimanga ancora una volta nel cassetto
Essere in pochi non permette comunque ai senatori di maggioranza e opposizione di accordarsi su una proposta unica, nemmeno su un tema che dovrebbe unire il Paese. Alla fine passano l’esame dell’aula due proposte, su posizioni troppo diverse per trovare una sintesi, secondo alcuni dei presenti. Ancora una volta manca la capacità di ascoltarsi reciprocamente e di mettere da parte la retorica di sconfitti e vincitori. Ma come può giudicare il paese un Senato che è più attento a chi può rivendicare il testo di legge piuttosto che concentrarsi sulla miglior proposta possibile, che sia davvero utile al Paese?
Mancano due giorni al 25 novembre e in molti si chiedono che senso avrà fare discorsi, eventi, accorati appelli alle donne a denunciare, se poi la politica non sa rispondere a un’esigenza tanto pressante e tanto sentita da una parte di popolazione sempre più numerosa, in particolare tra le giovani generazioni. Forse quando varranno come bacino elettorale la politica proverà a sentire le loro ragioni e richieste, anziché irridere come “strega” e “satanista” la sorella di una vittima di femminicidio, rea di aver criticato l’indifferenza istituzionale.
Indifferenza che potrebbe allontanare ancora di più le giovani generazioni, già disilluse dalla politica
Si potrebbe forse dipingere uno scranno di Palazzo Madama di rosso, per richiamare l’attenzione dei senatori. Il rischio, però, è l’ennesimo simbolo vuoto, che dovrebbe raccontare la perdita dell’ennesima donna assassinata e ricorda invece solo il silenzio di un Parlamento che non sa rispondere alla rabbia delle italiane e degli italiani. Quanto meno non quando non c’è un nemico “estraneo” da incolpare, ma solo uno specchio in cui osservarsi e mettersi in discussione.
Nel frattempo i centri antiviolenza e le case rifugio di tutta Italia attendono la bollinatura del decreto che permetterà alle regioni di ricevere e distribuire i fondi relativi al 2023. Risorse concrete che, tra tanti simboli, aiuteranno altre donne vittima di violenza di genere e domestica a trarsi fuori da una situazione di disagio e dolore.
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