In occasione di domenica 19 novembre, settima Giornata mondiale dei poveri, la Caritas italiana ha presentato “Tutto da perdere. Rapporto 2023 su povertà ed esclusione sociale in Italia”, evidenziando i dati in aumento dei “lavoratori poveri”, ossia persone che pur avendo un impiego non riescono a guadagnare abbastanza per provvedere a sé o ai propri cari.
In genere si associa la povertà alla mancanza di lavoro. La disoccupazione rimane un fenomeno gravissimo e dalla portata sociale distruttiva nel nostro come negli altri Paesi europei, tuttavia la crescita del fenomeno dei lavoratori poveri non deve essere sottovalutato.
Lavoratori poveri: di chi si tratta?
Per dare una definizione precisa di questa condizione Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea, stabilisce quattro condizioni per definire povero un lavoratore, che deve:
- avere un’età tra i 18 e i 64 anni
- essere occupato al momento della rilevazione dei dati
- aver lavorato per almeno sette mesi nell’anno di riferimento
- aver messo insieme in un anno un reddito disponibile equivalente inferiore alla soglia della cosiddetta “povertà relativa”
Con povertà relativa si intente un valore pari al 60% del reddito disponibile mediano nazionale equivalente. Per un lavoratore single, la soglia si ferma a 11.500 euro l’anno, ma il valore cambia a seconda del numero dei componenti della famiglia.
Rispettando questi parametri, secondo l’ISTAT nel 2021 in Italia si sono registrati circa 2,6 milioni di lavoratori poveri sui 21,9 milioni di occupati. Tuttavia, il Ministero del Lavoro ha ampliato queste condizioni per tenere conto anche della precarietà del lavoro. Per rientrare in questa fascia, secondo i criteri italiani, è sufficiente aver calcolato almeno un mese nell’anno di riferimento. In questo modo, i lavoratori poveri nel 2022 salgono a quasi 3 milioni.
I lavoratori poveri spesso hanno anche carriere disomogenee, accettando qualunque lavoro disponibile sul momento senza badare alle condizioni o a progettare un avvenire professionale. La finestra su cui ci si concentra è quella dell’immediata sopravvivenza e delle spese impellenti a cui fare fronte. Da non sottovalutare anche la relazione con il lavoro nero: delle 22 storie riportate nel report, solo 4 dei lavoratori intervisti hanno un contratto regolare.
La situazione a Genova: 1 persona su 4 che chiede aiuto alla Caritas è un lavoratore povero
Stando ai dati pubblicati dalla Caritas di Genova, sulle 4.891 persone che hanno chiesto aiuto ai centri d’ascolto nel 2022, 1.222 sono lavoratori poveri. Si tratterebbe di persone con “un lavoro a tempo indeterminato, ma con un reddito non sufficiente a far fronte alle normali spese di una famiglia”. Una condizione che, con il caro affitti e l’inflazione sulle utenze e sulle spese primarie – voci che pesano sempre più sul bilancio familiare medio – potrebbe riguardare sempre più cittadini.
Durante lo scorso anno, i centri d’ascolto genovesi hanno erogato aiuti economici per un ammontare complessivo di oltre un milione e 22mila euro. Il 62,6% di questa cifra ha coperto spese legate all’abitazione, in particolare affitto e utenze domestiche «in virtù di un paniere di spesa meno diversificato: se le fasce più deboli hanno infatti subito un rincaro dei prezzi del 17,9%, la parte più ricca si è fermata a + 9,9%», denuncia la Caritas Italiana.
Al momento chi si rivolge alla Caritas genovese per lo più rispecchia la correlazione riscontrata anche a livello nazionale tra povertà e livelli di istruzione bassi o molto bassi. Quasi la metà delle persone assistite infatti (il 42,5%) ha solo la licenza media inferiore e il 12,6% una licenza elementare, mentre un altro 16,9% non possiede alcun titolo di studio e si riscontra anche un 1,5% di analfabeti.
Tuttavia non bisogna sottovalutare nemmeno il 14,8% di persone che chiedono aiuto pur essendo in possesso di una licenza media superiore, il 7,8% possiede un diploma professionale, e un 4% ha una laurea. Da non dimenticare anche l’incidenza dei Neet (Not in Education, Employment or Training), giovani che non studiano, non lavorano e non cercano un impiego. Il 21% dei giovani in Liguria è inattivo e non segue un percorso di istruzione, né di lavoro, né di formazione.
Un mercato del lavoro che permette di sopravvivere
Studi come quello della Caritas devono aiutare a commisurare correttamente gli strumenti statali di sostegno alle famiglie, soprattutto quelli legati alla ricerca attiva o all’ottenimento di lavoro. Idealmente se una persona trova lavoro dovrebbe essere indipendente nella sussistenza, ma sono sempre di più le posizioni offerte con stipendi che non fanno fronte alla realtà del costo della vita. Basta visitare un qualunque motore di ricerca dedicato al lavoro per scorrere decine di offerte a tempo pieno con stipendi sotto i 1.000€, ma anche con retribuzioni incredibilmente più basse, posizioni con richiesta esperienza ma inquadramento formativo e molte altre storture.
Se le giovani generazioni stanno evidenziando il problema degli stipendi non congrui per le mansioni richieste, d’altro parte vi è un mondo di lavoratori in condizioni di povertà che però necessita di trovare una maggiore stabilità – in termini economici e di continuità del lavoro – per poter uscire dai meccanismi di assistenza.
Lo studio completo della Caritas è consultabile sul sito dell’associazione.
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