Il susseguirsi di episodi di violenza, vedi Palermo o Caivano (Napoli) è un fatto molto preoccupante. A tal punto che molti professionisti della salute cercano di convincerci che la causa principale è sicuramente attribuibile ad un segno del mondo digitale post Covid-19.
Nessuno può negare che il periodo Covid-19 abbia creato problematiche psicologiche, soprattutto nei giovani, ma siamo di fronte ad un fenomeno molto più complesso che è sotto gli occhi di tutti e dove l’unica soluzione sembra essere quella di eliminare “il marcio dalla frutta”.
Ma se guardiamo gli avvenimenti dall’alto cosa vediamo? Disuguaglianze culturali, sociali, economiche, che sono la conseguenza di disagi che incitano alla violenza, agli stupri, al suicidio, agli omicidi; frutto di una visione impropria e malsana del mondo, di società e di comunità.
La Visione di Comunità impone lo Stile di Vita e lo Stile di Vita è un processo di apprendimento che ci consente di comprendere, prenderci cura ed agire secondo valori fondamentali come, la giustizia, la virtù civica, la responsabilità di noi stessi e degli altri che sono “le fondamenta” sulle quali si appoggiano società e comunità sane, vere, ricche di veri valori.
La comunità nel suo complesso ha perso il “timore di Dio”. Non in senso religioso, ma in senso etico.
Per tale ragione tutto è possibile. Non ci si vergogna più di niente. L’importante è uscire dagli schemi per stare meglio.
Ma cos’è che induce i giovani a commettere certi atti? Semplice: la PAURA; la paura di non farcela in questo mondo che premia “il migliore” e non chi è “migliore”.
La paura di non essere competitivi, di non essere considerati, di essere meno degli altri, di non essere stimati, di non essere adeguati, di non essere accettati per quello che si è.
È la paura che induce violenza o comportamenti autolesivi.
Alla base c’è un nemico: l’ignoranza. Ignoranza non in senso nozionistico, ma nel senso che non si è formati ad avere una visione di vita che ha come fine il bene per sé stessi e per gli altri. E quindi acquisizione del “timore di Dio” significa che in caso di ingiustizia non si ha paura che qualcuno ci punisca ma che ci si vergoni e che ci si rattristi per avere deluso i nostri simili.
Ci vuole informazione, ma soprattutto formazione (anche cultura emotiva). Tutto ciò è educazione. Educazione che ci aiuta certamente a perseguire il bene, ma anche a difenderci.
Quindi, non è scientificamente scorretto avvertire i giovani che il consumo di alcol e droghe (già a bassi dosaggi al di sotto dei 20 anni) riduce la percezione del rischio in diverse circostanze; aumenta il rischio di incidentalità stradale, di violenze, di gravidanze indesiderate e di trasmissione di malattie infettive.
È una corretta e doverosa informazione che non giustifica assolutamente chi commette atti di violenza spesso sotto l’effetto di alcol e droghe su vittime che a loro volta possono avere assunto tali sostanze. Anzi è una severa aggravante (sia etica che penale) quando si è di fronte ad una persona che ha consumato alcol e droghe in quanto è priva della giusta lucidità.
I genitori non possono proibire, ma devono ricordare ai loro figli (maschi e femmine) queste informazioni.
Soprattutto ricordare il rispetto per la salute propria e degli altri.
Non bere alcolici e non consumare droghe è un atto volontario che si può evitare con il libero arbitrio.
Certo è opportuno che il libero arbitrio sia guidato dalla responsabilità che allontana le indicazioni di molti adulti che ricercano la relazione attraverso alcol e sostanze in balia degli istinti e privi di sentimenti.