Secondo gli ultimi dati raccolti a livello europeo, il tumore alla prostata è il più diffuso nel “Vecchio continente”, risultando il terzo più letale dopo quelli a polmoni e colon-retto. In Italia, come evidenziato dal professore ordinario di Urologia della Federico II di Napoli, Vincenzo Mirone, un uomo su otto correrebbe attualmente questo rischio, mentre in 46mila soffrirebbero già tale patologia. Ma cosa si può fare per limitare l’incidenza di un male che provoca circa 7000 vittime ogni anno?
Un attento studio della familiarità, ha spiegato il professor Mirone, è il primo fondamentale passo per la lotta al tumore alla prostata. Occhio però a non confonderla con l’ereditarietà: familiarità si riferisce infatti ad una concentrazione di casi in una famiglia in base a particolari stili di vita ricorrenti, fattori ambientali o addirittura ad un difetto genetico ancora sconosciuto. Accanto a questo aspetto è importante anche monitorare la ricorrenza di carcinomi alla mammella in una stessa famiglia, essendo questa tipologia di tumore maligno “incrociato geneticamente” con quello alla prostata.
Da non sottovalutare anche la cosiddetta “questione culturale“, con una grande difficoltà da parte di un padre in Italia nel parlare con un figlio di educazione sessuale e prevenzione al tumore della prostata, temi considerati ancora dei tabù così come il sottoporsi spontaneamente ad un esame. Nonostante ciò, il lavoro instancabile di fondazioni come la Pro Ets, di cui lo stesso professor Mirone è presidente, sta sensibilizzando sempre più la cittadinanza con manifestazioni e visite gratuite in circa 500 piazze italiane. Proprio grazie a questa modalità “incidentale”, gli esperti riescono a scoprire oltre il 30% dei tumori alla prostata, riuscendo poi ad intervenire tempestivamente.