Se vediamo la cosa dal punto di vista degli “eventi estivi”, sono in ritardo nello scrivere questo pezzo. Ma per la letteratura, la musica, la pittura, esiste ritardo? Ci sono manifestazioni artistiche “da consumare preferibilmente entro il” per evitare che vadano a male? Non credo proprio.
Io dico, seguitando, che il secondo evento del Festival Musicale valdostano-genovese Combin en Musique a cui ho assistito, la sera del 14 agosto a Valpelline, aveva l’intrigante e un po’ inquietante titolo dantesco “Tra la perduta gente” ed è stato un incontro tra musica (il contrabbasso di Federico Bagnasco), poesia (la voce recitante di Andrea Nicolini) e pittura (il live painting di Stefano Giorgi) per un viaggio condiviso con gli spettatori nell’Inferno di Dante e Virgilio.
Sul palco l’attore e musicista genovese Andrea Nicolini leggeva ampi passi dell‘Inferno della Commedia, iniziando dalla “selva oscura” del canto I per passare alla lettura completa del canto III (“Per me si va nella città dolente…”, il canto degli ignavi e di Caronte) dove, se mi si permette una breve divagazione, si trovano due versi che sono al contempo un’efficace definizione poetica dell’onnipotenza divina e la più elegante esortazione del tipo “fatti gli affari tuoi” che mai voce umana abbia pronunciato: “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare“.
Arriva poi il canto V con quel capolavoro di poesia d’amore che è l’incontro con Paolo e Francesca nella bufera infernal che mai non resta ma che non riesce a dividere i due innamorati.
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Mentre ascoltavo Nicolini che dava voce ai due amanti dannati, condannati da Dante alla pena infernale perché teologicamente fedifraghi, verso i quali prova una evidentissima simpatia, pensavo a Jorge Luis Borges che considerava la Commedia “il miglior libro scritto dagli uomini” e scrisse Nove Saggi Danteschi pubblicati in Italia da Adelphi.
Borges acutamente nota che il sentimento di Dante verso i due amanti romagnoli è soprattutto una affettuosa invidia: lui è condannato a vivere nel ricordo vano della sua donna amata, Beatrice, morta troppo presto. E’ normale che invidi questi due amanti che, seppur nelle pene dell’inferno, rimarranno eternamente insieme.
La lettura-narrazione di Andrea Nicolini procede giù tra i gironi dell’Inferno, soffermandosi in alcuni “punti celebri” del poema quali le Malebolge del canto XXI, popolate da diavoli violenti, goliardici e osceni. Segue poi l’incontro del canto XXVI con Ulisse che Dante ammira e rispetta profondamente, fino al drammatico canto XXXIII dove il Conte Ugolino rinnovella disperato dolor narrando la crudele vicenda della sua – sua e dei suoi figli – prigionia e morte per fame per volontà del arcivescovo Ruggieri.
In ultimo, Nicolini dà voce finale al Poeta narrando la sua – e di Virgilio – uscita “a riveder le stelle” nell’emisfero meridionale della Terra grazie all’arrampicata con capovolgimento gravitazionale lungo il peloso corpo di Lucifero nel canto XXXIV.
Tutta l’azione recitativa di Andrea Nicolini ha avuto come partner il direttore artistico del Festival, il musicista genovese Federico Bagnasco, che è venuto (parafrasando il Poeta) “a mostrar ciò che in contrabbasso si puote“.
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Confesso la mia ignorante disattenzione: non ricordo i brani suonati dal Maestro genovese, quindi non ne posso citare titoli e autori. Ma lo ringrazio moltissimo perché, grazie a lui e grazie all’essere il contrabbasso l’unico strumento musicale in scena, ho finalmente compreso il fascino di quel grosso e apparentemente ingombrante strumento. Non sono un musicista, sono semplicemente uno a cui piace ascoltare la musica e per me è stata una piacevolissima rivelazione il riuscire a rendermi conto chiaramente della varietà di suoni che si riesce ad ottenere da un contrabbasso.
Gli strumenti “bassi”, indispensabili in ogni gruppo musicale, in ogni orchestra, in ogni band, sono difficili da percepire nel contesto poli-sinfonico dalle orecchie dei non musicisti. Chitarre, violini, fiati, batterie sono molto più facilmente udibili e ascoltabili. Quella sera invece mi sono goduto la versatilità del contrabbasso, rendendomi conto di quanti suoni e quante note diverse esso possa generare sotto le dita e l’archetto del musicista che lo suona.
In un gioco di sponda condotto tra un tavolo posto a lato del palcoscenico e uno schermo alle spalle della coppia lettore-musicista, su cui apparivano e scomparivano figure e colori, si manifestava durante la lettura e la musica la terza anima di questo evento dantesco.
A creare le immagini muovendo dita e colori era l’artista e performer torinese Stefano Giorgi. Attraverso una bizzarra strumentazione (la “cappelliera magica“) con acqua, colore e stracci creava e disfaceva immagini e figure (di Dante e Virgilio, dei dannati, dell’Inferno, degli stati d’animo che soggiacevano agli eventi narrati negli animi dei personaggi); immagini colorate e sfumate, che tramite il movimento delle sue mani prendevano forma, apparivano e scomparivano per lasciar spazio a nuove figure destinate a loro volta dopo aver preso forma e colore a scomparire per far spazio ad altre nuove figure destinate…
Un accompagnamento visivo a ciò che di uditivo aveva luogo sul palcoscenico che portava – con un salto logico forse un po’ temerario, lo ammetto… – a pensare alla danza di Shiva, ai suoi cicli cosmici di creazione e distruzione, al ritmo eterno di nascita e morte.
Fuori dall’ampio padiglione comunale di Valpelline dal tetto in legno, la notte valdostana era fresca, umida e profumata come le notti estive di montagna è giusto che siano.