Lo scorso mercoledì 23 agosto, nel corso dell’ultima edizione del Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, il ministro degli esteri, Antonio Tajani ha avanzato una proposta che ha suscitato numerose perplessità e critiche in Liguria e non solo. Il politico di Forza Italia avrebbe infatti individuato nella privatizzazione e liberalizzazione dei porti italiani la soluzione alle problematiche economiche e di bilancio del nostro paese. Il tutto accompagnato dall’istituzione di un’Authority spa e da un complicato e potenzialmente inefficace sistema di concessioni a privati che porterebbe ad una loro crescente ingerenza negli affari di diretta competenza statale, pur preservando lo status pubblico del demanio marittimo.
Soluzione reale o palliativo?
L’imperativo categorico del ministro Tajani sembra quindi essere “più privato è, meglio è”, slogan apparentemente sostenuto dalla fragile convinzione di poter revocare senza troppi problemi ogni sorta di concessione in caso di inadempienza. Come evidenziato da sindacati e opposizione in primis, la realtà dei fatti è invece ben diversa e questa manovra rischierebbe di assestare un serio danno all’economia del paese, impoverendola e sfavorendo per giunta la maggior parte dei lavoratori portuali. Regolamentare e “limitare” l’attività dei privati dopo aver aperto loro tutte le porte risulta infatti assai difficile da immaginare, considerando soprattutto i precedenti del nostro paese e dei suoi numerosi “furbetti”.
Come se ciò non dovesse bastare, una misura del genere rischierebbe di dare il via libera ad un’ulteriore e crescente espansione delle multinazionali in questo e anche in altri settori pubblici a livello regionale e nazionale. Per quanto ci sia ancora molto da fare per migliorare, salvaguardare e amministrare al meglio le infrastrutture e i servizi pubblici, svendere tutto ai privati potrebbe dunque rivelarsi un fatale autogol che amplificherebbe le problematiche del paese. Il tutto in cambio di un illusorio e immediato risanamento del bilancio che non porterebbe però ad alcun reale miglioramento a medio-lungo termine.
La risposta del vicepremier Salvini
Come già accaduto in passato e in altre situazioni, il nostro sembra essere il paese di chi preferisce di gran lunga un uovo oggi ad una gallina domani, tendenza poco lungimirante che raramente porta risultati positivi. Ad ogni modo, l’improvvisa e, sotto certi aspetti, sconvolgente proposta di Antonio Tajani ha inoltre suscitato dubbi e opposizioni da parte di altri membri della classe politica attualmente in carica, in primo luogo la risposta del vicepremier e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini. Dopo aver ribadito l’assenza di questa proposta nell’attuale agenda di governo, escludendola così da un’immediata discussione, il leader della Lega ha poi specificato che la riforma portuale recentemente affidata e intrapresa dal viceministro Rixi ha finalità e modalità completamente opposte a questo “curioso” tentativo di privatizzazione caldeggiato dall’attuale ministro degli esteri negli ultimi giorni.
Questa divergenza sembra inoltre aver riacceso gli attriti tra i due vicepresidenti del consiglio dopo la chiusura di Antonio Tajani a possibili alleanze con i principali partiti di estrema destra europei. Certo è che, al di là di tutto, questo contrasto interno non fa bene al governo, offrendo anzi nuovi spunti alle opposizioni per critiche e attacchi non sempre mossi dall’effettivo desiderio di proporre idee alternative a reale sostegno degli italiani. Tra le risposte più dure alla proposta del ministro Tajani è stata quella di Claudio Tarlazzi, segretario generale di Uiltrasporti che ha ricordato l’importanza dei porti in quanto veri e propri “asset infrastrutturali” del paese, sottolineando la differenza con le operazioni portuali, elemento già privatizzato dal 1994.
I rischi di una regolamentazione privata
Dunque, analizzando l’intervento del segretario, risulta ancor più chiaro lo stato attuale delle cose, con porti pubblici e spazi portuali concessi ai privati per lo svolgimento delle diverse operazioni. Il tutto naturalmente regolamentato in modo da evitare situazioni di prevaricazione e monopolio di una compagnia rispetto alle altre. Come detto all’inizio, con l’eventuale ingresso di società private anche all’interno della gestione delle infrastrutture portuali vere e proprie, la possibilità di regolare operazioni e concessioni verrebbe inevitabilmente meno, riducendo il controllo dello stato sulle attività di multinazionali e privati mossi quasi esclusivamente dal desiderio di profitto.