La medicina di oggi è fatta anche di rapporti diplomatici e di terapie personalizzate. È la storia che ha coinvolto un bimbo ucraino a causa di una malattia molto grave del midollo osseo, l’aplasia midollare, che gli impediva di produrre i componenti fondamentali del sangue (globuli rossi, bianchi e piastrine). La vita del piccolo dipendeva da trasfusioni da tre anni, avendo ricevuto la diagnosi all’età di cinque.
Lo scoppio della guerra in Ucraina ha fatto in modo che il piccolo con la famiglia (la madre e la sorellina) arrivasse a Genova nel 2022, dove ha cominciato a ricevere le cure per la sua malattia e per un’epatite C cronica che stava aggredendo il suo fegato. Un quadro clinico complicato, che gli specialisti del Gaslini hanno affrontato con la clinica gastroenterologica del San Martino.
Prima di curare la malattia del midollo osseo del bimbo ucraino, era necessario eradicare l’epatite C
«Nel giugno 2022 ci ha contattato ospedale Gaslini per il trattamento dell’epatite cronica di questo bambino», ha raccontato Edoardo Giannini, direttore della clinica, «affetto da una rara forma di aplasia midollare che lo rendeva completamente dipendente dalle emotrasfusioni. Probabilmente è proprio da una trasfusione che ha contratto il virus, che di fatto non è presente in Italia a livello infantile. Per curare la sua malattia il bimbo necessitava di un trapianto di cellule staminali emopoietiche, ma il trattamento era possibile solo dopo aver eradicato l’epatite».
Fino a non molto tempo fa, l’epatite di tipo C era considerata una malattia non curabile. Prima del 2011 il trattamento si basava su un cocktail di farmaci che però creava numerosi effetti collaterali e si rivelava efficace solo nel 40-50% dei casi. Oggi i trattamenti sono diversi e con risultati migliori, tuttavia la disponibilità dei farmaci dipende dal genotipo del virus HCV in questione. Nel caso del bambino ucraino, il farmaco adeguato non era disponibile per il suo ceppo infettivo.
«In Italia esiste un accordo tra l’Aifa e la Gilead Sciences, l’azienda farmaceutica che lo produce, perché forniscano una certa quantità di un farmaco adatto per un diverso genotipo», ha spiegato Giannini, che in passato ha ricoperto il ruolo di segretario dell’Associazione italiana per lo studio del fegato. «Ho provveduto a contattare l’azienda chiedendo di fornire il farmaco a un prezzo simbolico, pressoché gratis, per tutta la durata del trattamento. E loro hanno accettato».
Giannini ha sostenuto per lungo tempo la battaglia per ottenere l’universalità delle cure per l’epatite C
«Trovo che questo caso rappresenti, al di fuori delle considerazioni relative alla provenienza geografica del bambino in un periodo così tragico, un bell’esempio di collaborazione tra i due Irccs, favoriti anche dal supporto disinteressato di privati», ha commentato Giannini. «Questo è stato un caso particolarmente complesso, se pensiamo che è piuttosto raro per noi trattare pazienti con epatite C in età infantile. Grazie al grande lavoro congiunto delle nostre équipe abbiamo donato a questo bambino una nuova vita».
Grazie al suo diretto interessamento, il bimbo ucraino ha così potuto sottoporsi alla terapia antivirale per circa tre mesi. Dopo un periodo di tempo analogo per i test di controllo, il Gaslini ha potuto constatare l’eradicazione completa dell’infezione e si è potuto procedere con il trapianto di cellule staminali ematopoietiche al Gaslini.
Dopo la distruzione delle cellule midollari del paziente, la procedura consiste nell’infondere per via endovenosa (in maniera del tutto simile a una normale trasfusione) di cellule staminali prelevate da un donatore compatibile. Queste cellule riescono a trovare da sole la strada per colonizzare la sede ossea di loro competenza e iniziare a produrre i normali elementi cellulari del sangue.
Il decorso post-trapianto è stato molto buono e il piccolo non ha presentato particolari tossicità, tanto che i medici del Gaslini hanno potuto sospendere la terapia immunosoppressiva a giugno di quest’anno. Il giovane paziente, d’ora in poi, potrà vivere una vita ordinaria come gli altri bambini di otto anni senza doversi più sottoporre a continue trasfusioni di sangue.
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