Secondo un’analisi condotta da Nicola Bianchi, assistente professore della Kellogg School of Management della Northwestern University in Illinois, e Matteo Paradisi, assistant professor all’Istituto Einaudi per l’Economia e la Finanza di Roma (Eief), dal 1985 al 2019 il gap salariale tra giovani e “anziani” è aumentato del 40% circa.
Lo studio è stato possibile, tra le altre cose, grazie alla pubblicazione dei dati relativi a stipendi e opportunità di lavoro da parte dell’INPS a partire dall’ascesa di Tito Boeri alla presidenza dell’Istituto.
Questa tendenza ha dunque reso sempre più complicata la ricerca del lavoro e il raggiungimento di una stabilità economica per le nuove generazioni.
I posti più ambiti e meglio retribuiti restano infatti saldamente nelle mani dei più esperti, mentre i giovani devono accontentarsi di posizioni spesso al limite dello sfruttamento.
Il tutto, naturalmente, in nome di una fantomatica “gavetta” e di un rispetto dovuto ai senior, non sempre ricambiato.
Insieme alle statistiche relative al gap salariale in Italia, risulta particolarmente allarmante anche il vertiginoso aumento dell’età media dei lavoratori negli ultimi trent’anni, con il passaggio da 35,8 a 42,7 anni.
Secondo i due studiosi, tra le cause di questo trend ci sarebbero la forte diminuzione della natalità, l’allungamento dell’aspettativa di vita a circa 83,3 anni e, naturalmente, il prolungamento dell’età pensionabile nel nostro paese.
Per quanto comprensibile, questa situazione non è però più sostenibile soprattutto perché una nazione poco attenta ai propri giovani è destinata ad una morte lenta e inesorabile.
Gap salariale: un problema anche in altri paesi nel mondo
Allo stato attuale delle cose, gli impiegati più anziani stanno intasando il sistema, obbligando le nuove leve a condizioni salariali e lavorative non all’altezza di una paese moderno e industrializzato.
Con uno stipendio più basso e meno opportunità di carriera, ai giovani non resta dunque che cambiare più rapidamente lavoro o andare all’estero in cerca di una situazione più vantaggiosa.
La prima ipotesi in particolare, però, non rispetta quasi mai le aspettative: dal 1985 al 2019 è infatti emerso che il cambiamento di salario da una società all’altra è diminuito di 20 punti percentuale.
Detto ciò, per quanto una maggiore esperienza possa portare numerosi vantaggi alle aziende, fattori come l’evoluzione tecnologica e social della società contemporanea richiede operatori più aggiornati e dinamici, possibilmente appartenenti alla generazione di nativi digitali. Purtroppo questa tendenza è molto diffusa tra i paesi occidentali, salvo nazioni come l’Australia, caratterizzata da una più lieve crescita dell’età media dei lavoratori (6,2%) e del gap salariale (circa il 3,6%) dal 1981 al 2018.
Discorso ben diverso nei tanto ambiti Stati Uniti, meta per eccellenza di chi sogna di reinventarsi e realizzare il tanto pubblicizzato “sogno americano”.
Lo studio ha infatti evidenziato come l’età media degli impiegati sia aumentata addirittura del 12,51% tra il 1979 e il 2020, incidendo conseguentemente sul +12% del gap salariale tra giovani e anziani.
Una situazione preoccupante che rende necessario un intervento a livello internazionale dei diversi governi per evitare una monopolizzazione del lavoro da parte dei “meno giovani”, pur tutelandone gli interessi e garantendo loro le giuste opportunità.
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