Si è svolta nella mattinata di ieri una nuova udienza per il caso Scagni: i legali di Alberto hanno chiesto il rito abbreviato per il loro assistito, ma il giudice ha detto no. Intanto si discute su una possibile nuova perizia che permetterebbe a Scagni di evitare il carcere nel caso fosse confermata l’infermità mentale.
L’udienza preliminare si è conclusa alla fine con il rinvio a giudizio di Alberto Scagni: il prossimo appuntamento in aula è stato fissato per il 9 giugno.
Respinta – in prima battuta – la richiesta di rito abbreviato avanzata dai legali di Alberto Scagni, il killer che lo scorso maggio uccise la sorella Alice sotto casa con ventiquattro coltellate.
Nel corso dell’udienza preliminare, gli avvocati di Scagni – Maurizio Mascia ed Elisa Brigandì – hanno chiesto di accedere al rito abbreviato, che prevede la riduzione dei tempi del processo e lo sconto di un terzo sulla pena – ma si sono scontrati con un fermo “no” del giudice, secondo il quale tale formula – dal 2019 – non può essere ottenuta da chi, in caso di condanna, rischia il carcere a vita.
Naturalmente la sentenza definitiva deve ancora essere messa e si determinerà dopo aver valutato anche le aggravanti del caso che, secondo il sostituto procuratore Paola Crispo, sono premeditazione e crudeltà. Punti su cui la difesa di Alberto si prepara a contestare. Il rito abbreviato è stato chiesto proprio perché in caso di decaduta delle varianti, l’ipotesi di uno sconto della pena potrebbe essere fatta valere.
Ad assistere all’udienza preliminare in aula c’era anche Gianluca Calzona, marito di Alice, e i genitori Graziano Scagni e Antonella Zarri insieme all’avvocato Andrea Vernazza.
Si torna comunque a discutere riguardo la possibilità di sottoporre Alberto ad una nuova perizia psichiatrica.
Nella prima, firmata dal Dott. Elvizio Pirfo, si identificava Alberto come un soggetto seminfermo di mente ma capace di stare in giudizio.
L’esito di una seconda perizia potrebbe dare ulteriori sviluppi al caso: se fosse infatti provata l’infermità mentale, Scagni non sarebbe più detenuto in carcere ma verrebbe trasferito in una Rems (cioè una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) che ha come scopo la cura dei pazienti malati.