Genova è tradizionalmente considerata una città di burberi, ma in realtà non è così scostante come lo stereotipo culturale l’ha dipinta. L’amore a Genova esiste, romantico, crudele e immortale tra i caruggi.
In occasione della giornata degli innamorati, ecco cinque storie a tema “l’amore a Genova”.
Vittoria Firpo, la fattucchiera dell’amore maledetto a Genova
Era il 1633, quando Vittoria Firpo tentò un rituale per far tornare da lei il marito infatuato di un’altra. Vittoria era da un’amica, quando lamentandosi della sua spiacevole situazione ricevette dell’allume. Con quest’ingrediente, la 23enne fece un rituale, che però le costò molto. La sorella dell’amica infatti, dalla parrocchia di Albaro si recò alla Diocesi di Genova e confidò la stregoneria di Vittoria al Vicario Sperelli. Il Vicario interrogò quindi Vittoria, la torturò e poi le impose digiuni e preghiere obbligatorie. Vittoria dichiarò sempre la stessa cosa: aver eseguito il rituale solo per avere di nuovo il suo compagno. Il suo uomo non tornò mai da lei, nonostante la donna lo desiderasse al punto da tentare un rito in quell’epoca. Al termine del periodo di espiazione, Vittoria sparì nei vicoli di Genova e non fu più vista.
Nina Giustiniani, l’amore genovese di Cavour
I due amanti si conobbero nel 1830, quando lei era già sposata a Stefano Giustiniani. Cavour approdò a Genova per iniziare la sua attività di ufficiale alla Direzione del Genio dell’esercito del Regno di Sardegna, e incontrò Nina. Da allora iniziò una lunga e tormentata relazione, con un cospicuo scambio di lettere: addirittura, la donna inseriva nelle buste indirizzate all’amato ciocche dei suoi capelli biondi.
Quando Cavour venne richiamato a Torino, la marchesa andò in depressione. Le lettere non placavano Nina, che tentò di raggiungere l’amato invano. Nel 1835, Cavour promise di andarla a trovare, ma un’epidemia di colera lo bloccò a Torino. Nina tentò la fuga, ma le fu impedita da alcuni ufficiali. Cavour le scrisse di stare tranquilla e a casa, ma Nina interpretò la cosa come un rifiuto e si suicidò nel 1841, a 34 anni. Si gettò da Palazzo Lercari-Parodi in via Garibaldi, dove la leggenda vuole si intraveda la macchia del suo cadavere nell’anniversario del suo suicidio.
Goldoni e l’amore a Genova
All’epoca dell’incontro con la donna, Goldoni dimorava in una locanda dalle parti di Vico San’Antonio. Lei si chiamava Nicoletta Connio, Goldoni si innamorò di lei vedendola da una finestra per puro caso. I due si sposarono nella bella chiesetta di San Sisto lo stesso anno. La prima notte di nozze sembra una scena da commedia: i due sposini, con l’emozione che si può ben immaginare, dopo le nozze partono, ma in una locanda Carlo viene colpito da un attacco di vaiolo. Niente di pericoloso, ma fu decisamente un inizio difficile. Nelle memorie di Goldoni, Nicoletta piange, ma Carlo la consola dicendole che certo non diverrà più brutto di quello che già è. I due non avranno mai figli, ma resteranno innamorati fino alla fine di lui, nel 1793.
L’uomo che per amore divenne “verde alghe”
La leggenda, raccolta da Calvino, parla di un re a cui avevano rapito la figlia. Anche con ricompensa, nessuno riusciva a trovarla. Un giorno, un capitano pensò di estendere la ricerca della giovane al mare. Il primo a unirsi all’avventura come marinaio, fu il tale Baciccin Tribordo. Baciccin però era sfaticato e pigro, per cui il capitano lo fece scendere dalla nave su una scialuppa. Baciccin remò fino a un’isola deserta, entrò in una grotta per ripararsi, e lì trovò la principessa. Un enorme polpo aveva rapito la fanciulla, e per portarla via di lì bisognava ucciderlo. Per fortuna il polpo, per 3 ore al giorno, diventava una triglia e sarebbe stato possibile ucciderlo in quella forma. Ma poteva diventare anche un gabbiano, quindi bisognava stare attenti che non volasse via. Baciccin dopo vari tentativi riuscì a pescare la triglia, che si trasformò subito in gabbiano, pronto a volare via, ma l’uomo riuscì a colpirlo con un remo, a stordirlo, e, una volta che l’animale si fu ritrasformato in polpo, a ucciderlo.
La principessa si promise a Baciccin donandogli il suo anello regale, e i due si misero in viaggio sulla scialuppa. Il soccorso arrivò da niente meno che dalla nave che aveva scaricato Baciccin. Su di essa, il capitano intuì l’affare propostogli dal caso e riuscì a farsi passare come l’eroe cacciando in mare Baciccin. Giunti a terra, il re benedisse le nozze tra il capitano e la figlia, ma comparve dal mare un uomo coperto di alghe: Baciccin era sopravvissuto e bloccò le nozze. Mostrando l’anello, Baciccin cacciò il capitano e potè sposare la sua principessa. Trionfa così l’amore a Genova.
Un amore non romantico a Genova: il Gigante di Portofino
C’era una volta, tanto tanto tempo fa, un buon vecchio gigante. Era seduto sul cocuzzolo di una montagna lungo le coste della nostra penisola, ed i suoi piedi si bagnavano nel mare. Se ne stava così seduto, pensando al suo triste destino. Era l’ultimo della sua specie, aveva girato il mondo in lungo ed in largo, ma non aveva trovato più nessuno come lui e tutti lo temevano per la sua mole. Capitò, durante una tempesta, che il gigante salvasse una nave a rischio naufragio. Il terrore prese i marinai alla vista del colosso, ma la figlia del capitano vide la bontà del loro salvatore: grazie a lei, stettero con il gigante per tutto il tempo delle riparazioni e poi lo portarono con loro. Arrivati a quella che oggi è Camogli, il gigante era molto stanco e si sdraiò per riposare. Nella notte, una fata buona lo trasformò in una montagna affinché rimanesse sempre a riposare con chi gli aveva dato l’ultimo briciolo di affetto. La montagna è il Monte di Portofino.
Arianna Ranocchi