È noto come i nostri adolescenti consumino frequentemente bevande alcoliche (circa il 50%) e cannabis (sino al 20-30% a seconda delle aree geografiche). A tutto ciò si aggiungono le nuove sostanze sintetiche.
Il perché di questo fenomeno è stato analizzato da molti, ma in realtà una vera risposta non è stata ancora definita. Certamente però l’adattamento al gruppo è un elemento da non trascurare.
I ragazzi attraverso un continuum di consumo possono anche sviluppare dipendenza psico-fisica.
In una nostra recente indagine nelle scuole dell’area metropolitana Genovese è emerso come il 33% circa dei ragazzi siano già stati sottoposti alla valutazione di uno psicologo.
Irritazione, attacchi di panico, disturbi di personalità, segni che si ritrovano nello spettro autistico, segni di scarso rendimento scolastico e molto altro.
Il profilo farmacodinamico di molte sostanze è in grado di provocare la fenomenologia dei principali sintomi psicotici in modo del tutto sovrapponibile a quella presentata da soggetti psicotici privi di una storia di consumo di alcol e/o sostanze. Alcuni possono successivamente consolidare una psicosi (nel caso della cannabis schizofrenia).
Altresì è vero che soggetti con psicopatologia più o meno latente diventano con maggiore facilità consumatori di alcol e/o sostanze.
Tuttavia, a nostro avviso, l’etichetta psichiatrica (con psicofarmaci associati) può essere troppo facilmente attribuita.
Bignamini afferma che dire che la dipendenza sia un problema psichiatrico è tutto da dimostrare.
Questa acquisizione richiederebbe anche di ridiscutere di che cosa sia un disturbo psichiatrico. Se si lascia indeterminato il concetto diventa difficile discernere se la dipendenza rientri o meno nella categoria psichiatrica.
In senso stretto appare evidente che la dipendenza non può essere un disturbo psichiatrico, essendo una condizione complessa che coinvolge e trasforma la mente, il corpo, le relazioni, lo status e l’ambiente del soggetto (Dal fare al dire 2014; 1: 20).
Insomma, il disturbo da uso di alcol e/o sostanze rientra in un’altra dimensione rispetto ai disturbi psichiatrici come vengono operativamente intesi.
L’area culturale delle dipendenze non deve farsi dominare dal riduzionismo biologico, ma deve aprirsi ad orizzonti più ampi.
Siamo d’accordo con Rigliano quando afferma che le dipendenze spingono a superare una psicopatologia descrittiva e statica per addivenire ad una valutazione psicologica capace di cogliere le forme di vita dei soggetti nella loro evoluzione personale.
Abbiamo da poco festeggiato il quarantennale della legge Basaglia. Questa legge ha garantito salute e diritti ai pazienti con patologie psichiatriche.
Sappiamo tutti che le manifestazioni cliniche delle dipendenze si embricano con quelle psichiatriche, tuttavia troppo spesso la base di partenza terapeutica è stata quella psichiatrica.
Ora è tempo di una nuova svolta nell’ambito della medicina delle dipendenze (MD). E’ necessario un deciso cambio di paradigma.
La popolazione affetta da disturbi da uso di alcol, sostanze e comportamenti sta velocemente cambiando (giovani polidipendenti con manifestazioni psico-patologiche). E quindi è opportuno riconoscere pienamente la MD come disciplina indipendente e ricondurla con forza in un attività multidisciplinare effettiva. (Testino et al, Recenti Progressi in Medicina 2019; 110: 230).
È evidente, quindi, come in questo settore la cooperazione di più specialisti sia necessaria, senza alcun tipo di prevaricazione.
Le resistenze culturali e politico-sanitarie saranno certamente molte, ma noi pensiamo che la costante “psichiatrizzazione della società” stia diventando eccessiva.
Schopenhauer affermava: “Quando si cerca di far progredire la conoscenza e l’intelligenza umana si incontra sempre la resistenza dei contemporanei, simile a un fardello che bisogna trascinare e che grava pesantemente al suolo, ribelle a ogni sforzo”.
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