“Cerezo è per mio padre” e il 21 ottobre esce l’album Buona Strada
Emanuele Dabbono racconta Cerezo, gli esordi e la collaborazione con Tiziano Ferro.
“Sono un Capricorno: Saturno è il mio pianeta. E’ tosto e non mi fa mollare, mai! Sempre dritto verso il traguardo”.
Inizia così la bella chiacchierata con Emanuele Dabbono, cantautore dall’animo sensibile e autore in esclusiva per Tiziano Ferro. Pochi giorni fa è uscita Cerezo, la sua nuova canzone.
Prende il nome dal centrocampista della Sampdoria e il video è girato presso lo stadio Ferraris di Genova: quattro minuti – un tempo lunghissimo per la discografia odierna – dove Emanuele ripercorre a cuore nudo il rapporto con suo padre.
“È un manifesto. Sono felice di uscire con qualcosa che parli così tanto e in profondità di me” racconta Emanuele.
L’ho scritta in 15 minuti in macchina. E difenderla è stato finalmente capire cosa mi rende quello che sono.
Cerezo è una lettera e raccoglie i pensieri che avrei voluto dire a mio padre. La vita gli ha tolto il volume, così mi sono messo a cantarli.”
Un brano intimo e dolce dove Emanuele riesce a toccare con delicatezza le corde del dolore e a trasformarlo in un’energia propositiva, in una sorta di riscatto emotivo del proprio passato.
Il 14 ottobre ci sarà il Radio Day di Cerezo e il 21 ottobre uscirà l’album Buona Strada che ruota proprio intorno a questa canzone “la più importante di sempre”.
Prodotto da Tiziano Ferro, pubblicato dalla TZN e distribuito da Universal Music Italia, Buona Strada contiene 16 brani registrati a Cuneo da Riccardo Pallavicini nello studio di Nicolò Fabi.
Emanuele è contento di raccontarsi: lo trovo sorridente e rilassato, più aperto al mondo di qualche anno fa.
Emanuele, partiamo proprio da Cerezo, scritta di getto e dedicata a tuo padre. Un’istantanea molto intima e delicata, un racconto in versi del rapporto con tuo padre. Forse, però, le nuove generazioni non possono comprendere a fondo le relazioni di una volta con i propri genitori. E’ così?
Sicuramente oggi viviamo mondi differenti: una volta i padri forse nemmeno parlavano con i propri figli, perlomeno non di sentimenti, ansie, preoccupazioni.
Mio padre aveva difficoltà a condividere con me la sua sfera più intima e più empatica.
Il calcio per noi era un importante canale di comunicazione: Cerezo che segnava un goal e mio padre che picchiava sul muro.
Era quello per me il momento per stare insieme sul divano e per lui di sfogare quella rabbia che non trovava altro spazio per poter uscire.
Certo, con le mie figlie è tutto molto diverso anche perché desidero che possano crescere senza muri di cinta intorno a loro.
Il mio augurio è che possano trovare nell’ambiente familiare un rifugio sicuro in cui potersi sfogare e raccontarsi senza sentirsi giudicate, mai.
Cerezo – video di Luigi Cerati
Il rapporto con mio padre e la sua malattia
Che uomo era tuo padre?
Mio padre era un uomo dalla cultura immensa, parlava nove lingue e faceva l’operaio in un’industria grafica editoriale.
Un vero eroe per me, però era anche colui che mi ripeteva sempre: “Emanuele, ma lasciala perdere la musica, trovati un lavoro serio, normale.”
Io non l’ho ascoltato, ovviamente: per me la musica è sempre stata una cosa seria e purtroppo lui non ha potuto assistere ai miei successi.
Una malattia se l’è portato via troppo giovane, a 65 anni, poco dopo essere andato in pensione.
Una diagnosi infausta – un anno e mezzo di vita – alla quale reagì dicendo: “Ma non possiamo farli diventare cinque?” Ecco, qui mi è piaciuto tantissimo.
Noi pensiamo di avere sempre un sacco di tempo davanti a noi, ma non è così.
Emily Dickinson ha scritto: “Non sappiamo di andare quando andiamo. Noi scherziamo nel chiudere la porta. Dietro, il destino mette il catenaccio, e non entriamo più.”
In Cerezo lanci un monito, una raccomandazione che regali a chi ascolta la tua canzone: non bisogna erigere muri e, soprattutto, bisogna comunicare a cuore aperto con chi ci sta accanto. E’ terribile arrivare tardi.
Proprio così. Tendiamo sempre a rimandare, invece le cose bisogna farle quando è il momento. Mio padre ha aspettato anni per andare in pensione per dedicarsi ai suoi interessi: è morto poco dopo, invece, senza poter realizzare più nulla di quanto avrebbe voluto.
E a me sono rimasti i discorsi mai fatti, le parole mai dette, quell’unico abbraccio quando segnava Cerezo.
La storia del rapporto con mio padre tradotta in musica, un invito a dire quella parola, a perdersi in quell’abbraccio: tre quarti delle cose che avrei voluto dire a mio padre sono finite in questa canzone.
Anche nei rapporti con le persone vale lo stesso principio: ci si potrebbe parlare, darsi una pacca sulla spalla e dirsi: “Sai che cosa mi piace di te?”. Dovremmo essere più presenti e comunicare il più possibile. Non possiamo mai sapere quanto tempo ci rimane a disposizione.
Emanuele, torniamo un po’ indietro nel tempo: quando hai scritto la tua prima canzone?
Bisogna tornare ai miei tredici anni e, udite udite, era una canzone in inglese: Love Dreams.
A ripensarci oggi era agghiacciante, come le altre 150, però mi sono servite per capire che c’era qualcosa dentro di me che voleva trovare il suo spazio.
Quando i miei coetanei giocavano con i videogiochi, io suonavo una chitarra tutta scassata. Certo, all’inizio il passaggio dall’inglese all’italiano è stato complicato, ma con il tempo sono riuscito a trovare il mio linguaggio, il mio modo di esprimermi e di dare voce ai miei sentimenti.
Ad oggi ho scritto circa 2000 canzoni, me ne piacciono una ventina, ma va bene così.
Un ricordo legato alla tua esperienza nel 2008 a X Factor dove ti sei classificato terzo.
Era la prima edizione e praticamente nessuno dei partecipanti conosceva nulla del format.
Al tempo avevo già scritto 700-800 canzoni, ma appena arrivato in studio mi hanno fatto posare la chitarra per cantare a cappella delle cover.
Mi sembrava alquanto strano, ma funzionava così. Morgan è stato il primo vero fan, colui che mi ha voluto a tutti i costi. Insomma, sono arrivato fino alla fine e la Sony mi ha poi offerto un contratto per un EP di cover. La storia è nota: ho rifiutato e ho scelto la strada sicuramente meno battuta.
In quella occasione Giusy Ferreri arrivò terza con Non ti scordar di me di Tiziano Ferro che mi fece recapitare un suo cartoncino – che ad oggi conservo gelosamente – con su scritto: “La tua canzone è strepitosa, ti seguirò, complimenti.”
Emanuele Dabbono racconta Cerezo
Quella telefonata di Tiziano Ferro
Poi che cosa è successo? Quando inizia la collaborazione con Tiziano Ferro?
Era il 2013, quindi cinque anni dopo X Factor. Mi arriva una telefonata mentre sono a mangiare una pizza a Varazze e naturalmente penso allo scherzo di qualche mio amico.
Invece era proprio lui, Tiziano. Ricordo bene le sue parole: “Vorrei una canzone che esprima la stessa dolcezza del tuo pezzo intitolato Irene.”
Dopo la telefonata ho lasciato la pizza nel piatto e sono corso a casa a scrivere, ancora incredulo di quello che stava accadendo.
Sono così nate Non aver paura mai – cantata da Michele Bravi – e Incanto, interpretata da Tiziano che mi ha poi messo sotto contratto. E anche nel suo prossimo disco Il Mondo è nostro in uscita a novembre ci sarà un mio pezzo.
E’ vero che Tiziano si è innamorato a tal punti di Cerezo che avrebbe voluto cantarla lui?
Assolutamente sì. Mi ha detto: “Cerezo è mia” – “Come tua? Non è possibile. Cerezo parla di me e di mio padre!” E anche cambiando qualche nome non è proprio possibile. La canzone è troppo mia. Allora ha deciso di produrla.
E’ indubbio che ci siano molte similitudini tra voi due, quelle che vi permettono una comunicazione artistica speciale. Siete, almeno ad osservarvi da fuori, due persone sincere, amabilmente introverse.
La vostra energia traspare perfettamente nei versi delle vostre canzoni. E’ corretto?
Sicuramente è un bellissimo complimento. Tiziano ed io pensiamo queste cose di entrambi: c’è una forte sintonia tra di noi ed una sensibilità che ci accomuna.
Tra noi vige anche un diktat ben preciso: non facciamo mai una cosa in base alla moda del momento. Seguiamo le nostre strade e direi che la nostra collaborazione continua a funzionare alla grande.
Domanda difficile visto che hai scritto quasi 2000 brani, ma c’è una canzone italiana ed una straniera che vorresti portassero la tua firma?
Tra le canzoni italiane scelgo Mentre dormi, un piccolo capolavoro di Max Gazzè, una canzone con un testo davvero strepitoso uscita nel 2010.
Nel panorama musicale straniero senza dubbio Born to run di Bruce Springsteen che considero a tutti gli effetti il mio animale guida.
Emanuele Dabbono: autore, musicista e poeta
Sei anche un poeta. Hai scritto Genova di spalle e Musica per lottatori, raccolta premiata al Bookcity di Milano da Alessandro Quasimodo, figlio del Premio Nobel Salvatore. La prossima raccolta si intitola L’amore al tempo dei farmaci.
Come nasce l’esigenza di scrivere canzoni e poesie?
Si tratta di espressioni creative differenti, seppur con il denominatore comune delle parole. Per questa ultima raccolta mi ero immaginato una persona che cammina per la strada e che in cuffia ascolta parole anzichè musica.
Come se a volte si potesse trovare conforto nel silenzio ed altre nell’ascoltare delle parole. Forse questa è una mia utopia perché di fatto quasi tutti prediligono la musica mentre camminano o svolgono altre attività.
Ecco, la mia fantasia è quella di indossare le cuffie e di ascoltare la voce di una persona che ti dice “Guarda che vai bene così, stai tranquillo.”
C’è anche la raccolta Genova di spalle, dove racconti di te.
Genova di spalle è ambientata a Campomorone, dove sono cresciuto. Vedevo Genova da queste colline lontane e mi sembrava una metropoli.
Quando mio padre è andato in pensione ci siamo trasferiti a Varazze dove vivo tuttora con la mia famiglia. Sinceramente un po’ mi manca quel modo di vivere più semplice, il conforto della provincia.
Oggi bisogna per forza andare, fare, anche noi adulti siamo sempre in movimento, mentre una volta ci si accontentava anche solo di stare in giro a parlare con gli amici.
A proposito di parlare e ascoltare: oggi parliamo tutti molto, ma quasi nessuno ascolta. Anche per un’artista è davvero così?
Sicuramente è così in tanti ambiti della vita quotidiana: si comincia dalle mura domestiche dove la soglia dell’attenzione si è abbassata moltissimo e si arriva a parlare senza guardarci nemmeno negli occhi.
C’è poi una questione di velocità in tutti gli ambiti della vita quotidiana, musica compresa: le canzoni durano sempre meno ed è tutto iper veloce.
Viviamo tempi liquidi, velocissimi, anche nella fruizione della musica.
Oggi è tutto super facile e super veloce. Basti pensare a una volta, quando c’era il vinile: dovevi estrarre il disco, metterlo sul giradischi, abbassare la puntina: i tempi erano certamente più dilatati e rilassati…
Ecco, mi sento di dire che la mia generazione è fortunata: noi abbiamo conosciuto l’analogico, il digitale è arrivato in un secondo momento.
Il nativo digitale non sa nulla del mondo precedente: non sa che cosa significhi scrivere una lettera, metterci il profumo e poi spedirla, oppure chiamare gli amici al citofono.
Adesso è tutto più rapido: abbiamo Instagram, scriviamo, mandiamo foto e via dicendo. Abbiamo sicuramente perso qualcosa per strada.
Il 21 ottobre arriva l’album Buona Strada
La prima parola che accosti ad amore. A me viene in mente “Per pesare il cuore con entrambe le mani ci vuole coraggio.”
Verità. Null’altro da aggiungere.
Partiamo dal presupposto che ogni canzone quando esce diventa di tutti e, ammesso che ci siano, quali sono le differenze tra una canzone tua e una canzone che scrivi per un’altra persona?
All’inizio c’era un po’ di differenza, adesso non più. Spero sempre che entrambe riescano a parlare alle persone.
Le canzoni non devono appartenere a chi le scrive, devono appartenere all’umanità.
Il 21 ottobre le sedici canzoni di Buona Strada saranno vostre!
La bocca della verità
Venti curiosità per conoscere ed apprezzare meglio
EMANUELE DABBONO
Nome completo e soprannome
Emanuele Dabbono
Le tue origini
Ligure
Età
Genova 15/01/1977 – Capricorno
Studi
Lingue e Letterature Straniere
Professione
Artista
Famiglia
Mia moglie e le mie due bambine
Una canzone
Born to Run di Bruce Springsteen
Un artista
Bruce Springsteen
Un film
L’attimo fuggente
Un libro
Molto forte, incredibilmente vicino – Jonathan Safran Foer
Una frase
C’è chi sogna di ricevere rose e chi le coltiva da sveglio – E. Dabbono
Un animale
Bradipo
Un luogo
Islanda
Una bevanda
Guinness
Un piatto
Carbonara
Un tuo pregio
Empatia
Un tuo difetto
Orgoglio
Un desiderio
Il Festival di Sanremo
Un rimpianto
Mio padre che non può ascoltare Cerezo
Il tuo prossimo progetto
Un libro
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Foto copertina e video R.S. ®
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