Un triplice margine paesaggistico ed antropologico ha sancito l’innesco artistico-ideologico dell’ultima fatica letteraria di Nunzio Festa, Biamonti (con note di Piero Donati e Davide Pugnana, Edizioni Il Foglio 2022).
Il confine naturale con il fiume Parmignola, il confine artificiale con la Linea Gotica e il confine interiore con una terra nuova con la quale confrontare il proprio senso di estraneità e la strenua ricerca “dell’Altrove”.
La Lunigiana, nuova temporanea residenza di Festa, ha provocato un’esplosione naturale di suggestioni empiriche e di sollecitazioni etiche talmente forti da proseguire il dialogo con la terra natia, la Lucania, sulla scia “dell’unico destino, la rivelazione della scrittura”.
Per via della folgorazione elettiva di Festa per lo scrittore Francesco Biamonti, i versi dell’opera si svolgono a partire dalle citazioni dello scrittore ligure per elevare la loro verticalità nel linguaggio poetico di Festa, arditamente scandito dai forti echi della generazione Beat e dalla costante ricerca dei “fondi del bene” malcelati in una società ostile e insincera.
E’ a una condizione volutamente utopica di dialogo -attraverso la frammentazione esistenziale contemporanea- che l’autore si volge: “gli spiriti puri abitano nelle quote/della fratellanza”.
– Come è nato questo libro, strutturato in diverse sezioni e dotato di forme poetiche maggiormente narrative rispetto alle tue precedenti pubblicazioni?
Ho cominciato a raccogliere in sezioni le poesie che stavo scrivendo da quando, a maggio 2021, mi sono trasferito in questo mio nuovo mondo a sud del nord, partito dal nord del sud, che è un omaggio soprattutto a questi ‘luoghi’ quindi, ma che, come si vede dalle altre sezioni, va ad incrociare in maniera sensuale le mie origini, e il mio passato più recente, anzi tutto il passato di sicuro.
– “medaglie di ricordi/femmina/riversati nei cassetti” scrivi in una delle poesie della prima sezione. Il femminile continua ad affiorare dai tuoi versi in modi sempre differenziati e plastici, fino a perdere la sua soggettività e diventare una caratteristica portante e individuante di molti aspetti della realtà. Ce ne parli?
Io penso che, in qualche misura, vedo il femminile in assoluto quale elemento di bellezza, e lo associo ai beni materiali e immateriali che costruiscono il mio presente, dai posti che scopro alle persone che conosco alle opere d’arte che provo ad ascoltare, con questo accento di sensibilità che vedo in specie nelle scritture e letture femminili, non delle donne o della donna in genere o per forza, ma con la visione sublimata ulteriormente del concetto stesso di femminilità.
– “buoni per il dimenticatoio/oltre che allo scannatoio/delle borghesie piccole/o delle famigliari coccole”. I temi politico-sociali ricorrono con amaro sarcasmo in tutta l’opera, mischiandosi alle riflessioni intimistiche attraverso quella che sembra essere la precisa scelta di non fare distinzione tra interiorità e collettività. Quali sono i temi che ti stanno più a cuore e che esprimi attraverso i tuoi versi?
Posso dire per me è impossibile scrivere senza critica a questa realtà che non mi piace. La devastazione della mia nascita, per dire, per conseguenza d’una frana che nel 2019 colpì il mio paese lucano di partenza, Pomarico, è esempio ancora oggi, come potremmo capire facendo e studiando la cronaca anche giornalistica del posto, può essere una conseguenza pure della cattiva gestione della rete fognaria; lo sventramento continuo della cave di marmo di Carrara che oggi vogliono mostrare e dimostrare con una maschera di necessità persino al turismo, è altro esempio eclatante; le morti quotidiane sul lavoro, gli ammazzamenti delle donne…
– Le paronomasie e le allitterazioni rappresentano la cifra distintiva delle tue opere poetiche. Il suono accompagna il senso in un ritmo serrato e straniante. Ci parli dei tuoi maestri e del perché scegli queste figure retoriche, rendendo i tuoi testi difficilmente catalogabili all’interno delle correnti poetiche contemporanee?
Cerco di tenere insieme alcune caratteristiche dei miei riferimenti viventi o comunque alcune particolarità che apprezzo dei miei conterranei viventi, o della memoria, come Alfonso Guida e Rocco Scotellaro, molto diversi e distanti fra di loro e perfino da me: Campana, Rimbaud, Caproni, Cavalli, Valduga etc. E molto di più. Ma sotto il magistero elettivo di Nunzio Gregorio Corso, il più importante, per me, fra tutti gli altri di quel periodo spazio-temporale.
– Parlaci dei tuoi futuri progetti e donaci uno dei testi a cui tieni di più.
Sto scrivendo da settembre dello scorso anno il mio nuovo romanzo, che sarà evidentemente diverso dagli ultimi “Il Crepuscolo degli idioti” e “Le strade della lingua”. Per il momento ho addirittura già ipotizzato un titolo: “Cronofobia. L’amore degli altri”. Ma sto ragionando sulla pubblicazione della mia nuova raccolta antologica, nel frattempo, “Piantine. Dei paesi solari”. Ho almeno altri due testi oltre a questi, entrambi in qualche modo in gestazione.
Da “Biamonti. La felicità dei margini. La Lunigiana più grande del mondo” estrarrei:
LE NUVOLE SOPRA LA COLLINA ERANO INCROSTATE DI SOLE
“Nel tardo di primavera
la cera blocca il tarlo
come un ornamento diviene
a fine corsa
c’è il rancore
sulla crosta dei doveri
la mestizia
e seppur vogliamo piaceri
in senso d’insufficienza
dirsi solo e inutile
nel coriandolo fatto
tagliuzzando a bricioli
i fondi del bene
verranno certamente le piene?
o avremo
scherzato
e mi dovrò
eliminare il fiato?
Per la seconda volta
consecutiva
pensando alle lucciole
due si sono spostate
con azione furtiva
nella spalancata stanza viva.