Durante la lettura di “Gioia mia“, un detto popolare mi è frullato prepotentemente in testa, qualcosa di talmente calzante con il romanzo che non posso fare a meno di riportarvelo:
“L’amicizia tra donne è cosa rara, ma quando c’è fa paura anche al diavolo”
È talmente vero, perché l’amicizia come l’amore è un sentimento che diventa fortezza, e le fortezze proteggono dalle intemperie della vita. Quella tra donne, poi, è una complicità tutta diversa, quando è esente da invidie e competizioni è un rapporto esclusivo, leale, duraturo nel tempo. Una relazione che si basa sulla fiducia reciproca, sull’affidarsi l’una all’altra e confidarsi segreti, che rimangono ben custoditi e chiusi a chiave nella cassaforte. Si parla spesso di competizione, della difficoltà di essere solidali e fare squadra, di supportarsi a vicenda, ma è qualcosa che le donne di oggi stanno cominciando a superare. Quando abbiamo una giornata dura è un’amica quella che chiamiamo, con lei condividiamo il peso delle nostre angosce. Ed è sempre l’amica colei che ci conosce più a fondo, conosce anche la parte peggiore di noi e l’accetta, smussa i lati spigolosi del nostro carattere e ci sostiene nel momento del bisogno.
“Ché le amiche sono quelle che si rivelano nel momento del bisogno, giuiuzza, quelle che t’aiutano a portare i pesi della vita quando si fanno troppo pesanti, quelle che s’incollano un poco della tua malinconia e la scambiano con un poco della loro contentezza, quelle che ti aiutano a tirare la carretta quando piccioli nisba, e non hai manco un uovo per sfamare i picciriddi.”
Gioia mia è un romanzo corale, tutto al femminile. Femmina è anche la terra in cui è ambientata la storia, la mia bedda Sicilia, territorio aspro e selvaggio, capace di regalarti raggi di sole che scaldano le carni, ma anche spine e dolore. Ed è nel momento in cui la vita di Luisa, la protagonista, cade in un sonno indotto che le altre splendide protagoniste emergono e fanno muro intorno a lei, la proteggono, la tutelano da chi vorrebbe strapparle un sogno, la sua Castidda, luogo amato, terra della memoria e del ricordo, pace dei sensi, dove da piccola Luisa aiutava l’amato nonno, colui che la chiamava Gioia mia e le insegnava la vita, la fortificava, la rendeva indipendente e libera.
Sono le amiche coloro che occupano la Castidda come un fortino, si dividono in gruppi, fanno i turni, preparano deliziose marmellate di mele cotogne, si raccontano, vivono, diventano cinta muraria altissima a difesa del castello minacciato da uno speculatore edilizio che puzza di mafia. Ritroviamo Agata la tabacchera, protagonista de L’amurusanza e di Terramarina, Violante la sposa picciridda del professore suo grande amore, più vecchio di lei di trent’anni, e ancora Lisabetta, Lucietta, tutte donne forti, indipendenti, intraprendenti, legate da quel sentimento che è l’amurusanza, i piccoli gesti che riempiono la vita e la rendono degna di essere vissuta.
“Le amiche non sono quelle vipere che certuni vanno dicendo ma… anime che si frammischiano alla tua e si fanno corda che ti tira fuori da un pozzo.”
Ho letteralmente bevuto questo libro, mi sono dissetata delle sue pagine, le ho sottolineate, rilette, fatte mie. Tea Ranno ci regala ancora una volta una storia potente, una narrazione intrisa di realismo magico e fortemente evocativa. È unica nel trasformare le parole in immagini, a farti sentire gli odori, i profumi del gelsomino, quello che Camilleri chiamava u scrusciu ru mari. E l’alternarsi della lingua italiana al dialetto siculo crea una dolce melodia.
Loreads _del blog Esmeralda Viaggi e Libri