Lo scorso 21 febbraio abbiamo ricordato la Giornata Internazionale della Lingua Madre.
Nel 1999 l’UNESCO, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, istituì questa ricorrenza per promuovere la celebrazione delle diversità linguistiche e culturali del nostro pianeta.
Venne scelta questa data in memoria degli studenti bengalesi dell’Università di Dacca, che il 21 febbraio del 1952 vennero uccisi dalla polizia pachistana, dopo avere protestato perché la loro lingua, il bengalese, fosse riconosciuta ufficialmente.
Ma che cos’è il linguaggio?
Michel Foucault, filosofo francese del ‘900, grande cultore della storia moderna e dell’arte raffigurativa e letteraria, ci propone un colorato pensiero a riguardo:
«Sino alla fine del XVI secolo, la somiglianza ha svolto una parte costruttiva nel sapere della cultura occidentale. È essa che ha guidato in gran parte l’esegesi e l’interpretazione dei testi. E’ essa che ha organizzato il gioco dei simboli, permesso la conoscenza delle cose visibili e invisibili, regolato l’arte di rappresentarle. Il mondo si avvolgeva su sé medesimo: la terra ripeteva il cielo, i volti si contemplavano nelle stelle e l’erba accoglieva nei suoi steli i segreti che servivano all’uomo. La pittura imitava lo spazio. E la rappresentazione – fosse essa festa o sapere – si offriva come ripetizione: teatro della vita o specchio del mondo, tale era il titolo di ogni linguaggio, il suo modo di annunciarsi e di formulare il suo diritto a parlare. Occorre che sostiamo un po’ in questo momento del tempo, quando la somiglianza sta per sciogliere la sua appartenenza al sapere e scomparire, parzialmente almeno, dall’orizzonte della conoscenza.»[1]
Il linguaggio, come somiglianza, è la più importante arma dell’umanità.
Il nostro motore personale per la sopravvivenza organizzata. Parliamo, infatti, per organizzare al meglio la nostra vita.
Ed ecco che questo importante strumento, nel corso della storia, ha fatto tutte le nostre sfortune e fortune, rendendoci quello che siamo oggi.
Se un tempo ci “accontentavamo” con i miraggi delle favole dell’arte, della letteratura, dei grandi eventi pubblici, delle cerimonie ufficiali, delle piccole e grandi avventure; oggi, forse, tendiamo a figurarci meno occupati dalle contemplazioni e più rivolti verso le preoccupazioni delle cose veloci, verso le ansie e le aspettative di una vita molto più rapida e impegnata.
Se ogni linguaggio è, dunque, una somiglianza, un’arma per imitare e controllare la vita, rappresenta anche una importante responsabilità. E con questa missione, quella di coltivare le culture e le differenze umane, siamo, anche nel presente, insigniti delle nostre stesse parole, per il cui fine, usarle eticamente sembrerebbe contribuire alla maggiore longevità, alla sopravvivenza del genere umano nella storia futura.
[1] Foucault, Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 2016, p. 31