E poi ci sono i luoghi della memoria per non dimenticare. Mai.
Come il Cimitero di Praga, sorta di bocca sdentata con le lapidi tutte storte. O come la torre del Silenzio del museo di Libeskind a Berlino: il silenzio e il freddo di uno spazio angusto e buio. Una sola fenditura in alto. Per ricordare quello che si è visto fino ad allora. E poi L’installazione (foglie cadute) con le facce che urlano al tuo cammino.
Rue de Rosiers con falafel e pastrami, proprio dietro il Pompidou, dove le tradizioni ebraiche continuano.
Come il ghetto di Roma, quello che se vai il sabato (shabbat) trovi chiusa la pasticceria della crostata di visciole (o la pizza dolce di Beridde).
Puoi sempre ripiegare su Dolceroma per una Sacher da urlo.
Quel ghetto istituito nel 1555 per chiudere, recludere una porzione di popolo romano la sera dopo il tramonto. Con l’obbligo di indossare segni riconoscibili, vendere stracci e non possedere beni immobili.
C’è voluto Mazzini nel 1849 per aprirlo quel ghetto. Un conglomerato di abitanti e abitazioni e botteghe che prende un po’ di luce e aria con il Piano Regolatore del 1888. Via del Portico di Ottavia, via Catalana e via del Tempio fanno spazio in un tessuto urbano denso di umanità.
I nazisti di quella umanità ne deportano più di 1000. Viaggio di sola andata per quasi tutti. Destinazione Auschwitz. Il lavoro rende liberi…se sopravvivi.
Le parole lette di Levi e Bassani, le parole ascoltate tante volte di nonno Angelo. Prigioniero, non ebreo insieme agli ebrei, a Dachau e Buchenwald. L’orrore. Quello vero.
Non parliamo di guerra per favore. La guerra è un’altra storia. Lì c’è l’orrore.
Conserviamo la memoria per l’orrore, come le pietre d’inciampo.
Mazel Tov
Ps: la cucina ebraica è l’unica cucina della tradizione qui a Roma come i carciofi alla giudia e il tortino di alici e compreso il quinto quarto anch’esso kosher.