E tutti Voi Lettori pensate al mare. Eh no! Le acque di oggi sono dolci, fredde anche d’estate (beh fredde… diciamo corroboranti) e nascoste nel verde.
Sono le acque del Lago della Tina.
Che poi chiamarlo lago è piuttosto esagerato, ma insomma…
Andiamo con ordine: si tratta di una piacevole gita di un’ora e mezza circa, più altrettanto per tornare indietro.
Ogni stagione dell’anno va bene ma il top è andarci all’inizio dell’estate, quando il ruscello ha ancora molta acqua e l’aria è già sufficientemente calda ma non troppo afosa. In più si possono evitare le folle agostane, ché ambienti naturali un po’ “selvaggi” come questo sono molto più affascinanti se vissuti senza troppa gente intorno.
Vanno benissimo anche le belle giornate d’autunno e d’inverno, se ci si accontenta di ammirare il paesaggio rinunciando a immergersi nei laghetti azzurri e grigi.
Si parte da Arenzano ed è saggio salire con mezzi a motore oltre l’Ospedale della Colletta sino alla località Terralba per poi prendere a sinistra in salita sino all’Agriturismo “Agueta du Sciria“.
Da qui, a piedi. Facile, una sterrata comoda in leggera salita con un segnavia T di colore rosso e qualche cartello indicatore, che in una ventina di minuti porta al Passo Gua.
Qui si prende a sinistra, su un percorso quasi pianeggiante immerso nel verde della boscaglia, con scorci verso il mare sino a Capo Noli e verso le rocciose cime del crinale su cui passa l’Alta Via dei Monti Liguri (è la zona in cui lo spartiacque padano si avvicina maggiormente al Mar Ligure, anche meno di 5 km in linea d’aria).
Il sentiero prosegue invitandoci – ma non è indispensabile accettare l’invito – a una breve deviazione a sinistra verso il sottostante castagneto con una piccola area picnic sotto a un castagno secolare.
Volendo si può da lì proseguire scendendo in circa venti minuti fino al Ponte Negrone (ma poi ce ne vogliono altrettanti per risalire). Il ponte è comunque visibile dal sentiero principale, in basso giù nella gola rocciosa dove il rio Leone e il rio Negrone si uniscono a formare il torrente Lerone (quello che sfocia immediatamente a levante di Cogoleto).
Mi è stato detto che qui dal ponte partiva l’acquedotto che portava l’acqua ad Arenzano.
Deviazione a parte, il sentiero principale prosegue un po’ in un bosco di lecci e un po’ su un versante con alcuni tratti scoperti e soggetti a subire i danni del maltempo, piccole frane, smottamenti (ci vuole un minimo di attenzione).
Si raggiunge infine il Passo du Figu, il guado sul rio Leone, e da qui abbandoniamo il sentiero per iniziare a risalire il torrente tra rocce e cascatelle che formano piccoli graziosissimi laghetti, il più scenografico dei quali, in alto, è il Lago della Tina.
Largo pochi metri, profondo un po’ di più, il Lago della Tina prende il nome dalle “tine”, i contenitori in pietra utilizzati un tempo nelle cartiere, che abbondavano lungo i torrenti di questo tratto di Appennino Genovese.
In realtà questi non sono laghi in senso stretto, piuttosto sono delle “marmitte dei giganti”, cavità della roccia formate col passare del tempo dai vortici dell’acqua che scorre impetuosa, e scava oggi, scava domani…. giustamente i romani dicevano “gutta cavat lapidem“, la goccia scava la pietra.
Giunti ai laghetti, Tina o quelli più piccoli sottostanti, si può scegliere il masso largo e quasi piatto su cui stendere l’asciugamano, poi ci si spoglia e ci si immerge nell’acqua limpida e scrosciante del ruscello, prima di sdraiarsi ad asciugarsi sotto al sole.
Su come e quanto immergersi, beh, ognuno ha le sue opinioni… Io ci sono andato in una tiepida giornata di luglio e sono riuscito a entrare in acqua con le gambe ma non ce l’ho fatta a nuotare, avevo troppo freddo. La mia accompagnatrice si è limitata a intingere i piedi poi ha desistito.
Un’oretta dopo il nostro arrivo sono arrivati una decina di ragazzi e ragazze ventenni che hanno continuato a tuffarsi e sguazzare completamente immersi nell’acqua per più di mezz’ora, incuranti del freddo. Beata gioventù….
Per tornare ci sarebbe un percorso alternativo più lungo ma suggerisco di rimettere i piedi sulle tracce del cammino fatto per arrivare qui, così da avere il modo di cogliere qualche dettaglio del paesaggio e della vegetazione che era sfuggito all’andata.