La paura che nutriamo è la nostra sopravvivenza.
Dare il giusto valore a questo sentimento ci aiuta a riconoscerlo per quando e per quanto ne abbiamo bisogno.
Nella nostra realtà occidentale, siamo spesso abituati a pensare all’emozione della paura come a qualcosa di negativo, quando invece è tutt’altro che questo.
Ogni volta che abbiamo bisogno di fare una scelta importante, la sensazione di timore che sale dal ventre ci offre dei validi segnali di riferimento, in base a cui scegliere la cosa migliore da fare.
Nei giornali, nelle televisioni e sulla rete si discute sempre più intensamente delle nuove misure restrittive, per il contenimento dell’emergenza pandemica e tutto questo tempo attuale ci pone di fronte alle nostre profonde paure.
Siamo confinati a una libertà vigilata, per contenere nel modo più semplice l’urgenza epidemiologica con la responsabilizzazione individuale delle azioni personali nel quotidiano – l’igiene; la prevenzione; la cura sanitaria.
Sono portato a credere che il virus esista, che abbia avuto una carica virale molto elevata e una forte letalità a partire dal 2019 e che sia meno letale e più facilmente contagioso, al tempo stesso, nello stato presente.
Nel mentre, penso che sarebbe stato possibile gestire il problema diversamente.
Era davvero necessario, anche nel nostro Paese, disporre di molti ospedali sprovvisti degli opportuni finanziamenti, procurandone disperatamente solo dopo il momento dell’emergenza?
Era veramente doveroso aspettare una situazione pandemica, prima di investire nella ricerca nazionale e internazionale?
Era meglio aspettare fino all’ultimo momento, prima di pagare gli studi sulle ricerche virologiche ed epidemiologiche, piuttosto che il contrario?
Le risposte sembrano essere positive, perché le culture umane preferiscono, ancora a oggi, avere un povero guadagno nell’immediato, a discapito di un futuro più ricco di risorse equanimi e organizzato.
Tendiamo a stare ancora attaccati, nella resa dei conti, alla terra e alla guerra personale con la paura di cambiare.
Quando abbiamo paura della pandemia, questa ci mostra che non è colpa nostra e ci dispone delle armi molto potenti per avere cura di noi stessi.
I segnali che il nostro corpo dal profondo ci indica per stare meglio.
Si parla in ambito psicologico di come lo stomaco sia considerato un secondo cervello, infatti, è proprio da lì che si sviluppano le emozioni legate alla paura.
E questa ci ricorda di quando e quanto siamo sempre viventi di questo mondo, di ogni luogo primordiale del Pianeta e delle nostre evoluzioni.
Perché è grazie alle emozioni che l’umanità ha potuto viaggiare nello spazio temporale della sua specie, sfidando i pericoli per sopravvivere.
La paura ci insegna a decidere come vivere, indicandoci i pericoli potenzialmente mortali o dolorosi. Starà solo a noi sentire il corpo, per scegliere la possibilità più adatta alla propria vita.
Concediamoci di viaggiare nell’esplorazione delle nostre paure, osservandole emergere e dandone il valore vivo che meritano.
Già lo scrittore Alberto Moravia si dedicava un intenso viaggio tra le paure primordiali, riportando dal vivo al documentario, le bellezze di Alcune Afriche, da cui il libro edito dalle Edizioni Rai, nel 1983.
«Di notte, il fiume si direbbe assolutamente inabbordabile, con la foresta che ne sbarra ininterrottamente le rive. Eppure, un raggio di luna può rivelare un rematore solitario, ritto nella piroga, mentre si dirige con sicurezza verso il canale, che, dopo alcune ore di navigazione problematica per anfratti oscuri e silenziosi, lo porterà al villaggio»[1].
[1] A. ANDERMANN, A. MORAVIA, Alcune Afriche, Roma, ERI, 1983
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