Nel primo trentennio del dopoguerra la Liguria fu terra di immigrazione. Le industrie liguri erano fonte di lavoro e di ricadute occupazionali.
Le persone più anziane non possono non ricordare imprese come l’Ansaldo prima dello “spacchettamento”, la San Giorgio di Prà, l’Italsider e l’Italimpianti, o aziende come Saiwa, Boero, la pettinatura Biella o il cotonificio di Rossiglione, la Piaggio di Sestri, persino la dolce Aura di Nervi, e altre.
Non va meglio spostandosi a Savona dove si ricorda l’Ilva, la Mammuth, la Magrini-Galilei o la Fiat di Vado, per non parlare di Ferrania e delle industrie della Val Bormida o della Piaggio a Finale Ligure.
Alla Spezia è deperito l’Arsenale marittimo militare, e sono scomparse aziende come San Giorgio elettrodomestici, Faggian, INMA, Montedison e la Vaccari di Ponzano Magra, la Sirma e la RDB in Val di Magra.
Persino Imperia, la meno industrializzata delle province liguri, ha, da ultimo, subito la chiusura dello stabilimento Agnesi. Senza dimenticare che nell’area che va da Genova alla Spezia è scomparsa di fatto ogni attività industriale, fatta eccezione per lo stabilimento Fincantieri di Riva Trigoso. Hanno chiuso imprese come la FIT, la Lames, l’impermeabili San Giorgio, ecc.
Quale modello ha sostituito il vecchio assetto prettamente industriale della regione?
Il problema pare che sia l’assoluta mancanza di un modello di sviluppo alternativo.
I dati sul calo e invecchiamento della popolazione come quelli del contestuale calo del numero delle imprese iscritte alla Camere di Commercio ne sono evidente testimonianza.
La crisi della Liguria è in realtà una crisi infinita che dura da oltre 40 anni.
L’industria ligure era in gran parte industria pubblica, si è palesata con alcune fortunate eccezioni, una crisi di capacità imprenditoriali della comunità imprenditoriale locale, che spesso si è rifugiata nell’investimento meramente finanziario o nella sciagurata politica della cementificazione.
L’agricoltura, tranne che in provincia d’Imperia per l’olio e la floricoltura, ha sempre contato poco.
In Liguria anche a causa dell’orografia del terreno e dell’alto costo delle poche aree insediative disponibili non si è mai sviluppato un tessuto di PMI, paragonabile a quello delle regioni contermini e men che mai esperienze come quelle dei distretti industriali.
Siamo, oggi, di fronte a una crisi strutturale e al fallimento di un sistema economico che continua a insistere sulla speculazione edilizia e sulla cementificazione di un territorio scarso, pregiato e molto delicato.
Il crollo del sistema bancario ligure, drammaticamente raffigurato dal crollo del centro di potere più forte della Regione, Banca Carige, è il fallimento di un centro gravitazionale d’interessi bipartisan, cui tutti facevano capo e che ha finito per trascinare nella crisi lo stesso modello creato da Carige e da essa dipendente.
Senza dimenticare che, oggi, di fatto non esiste più una banca con sede direzionale in Liguria, dato, che, in pochi anni, sono scomparse banche come Carisa, Carispe, Banco di Chiavari, Banca di Genova e S. Giorgio.
Carige e il suo ex presidente erano il vero deus ex machina di una sede concertativa trasversale di gestione del potere economico e politico dell’intera regione. Oggi quel modello di capitalismo di circoli ristretti è entrato in una crisi senza fine, condita da liti giudiziarie.
La Regione è il grande assente di questa scena.
Per la verità lo era anche con le vecchie giunte di centrosinistra a guida Burlando, che puntavano tutto sui sistemi portuali e relativi traffici. Oggi, con Toti, non c’è più neppure questo.
Si è sostituita una politica industriale con una politica dell’effimero.
Si gioisce per l’apertura di un supermercato (che miseria!). Così si pensa di fare sviluppo turistico, inondando la Liguria di tappeti rossi, ben presto lerci, mentre le potenzialità di un nuovo modello industriale della tanto decantata industria hi-tech si riduce ad alcune manifestazioni ad effetto di IIT senza una ricaduta positiva in termini di spin-off aziendali.
La stessa Università di Genova appare statica e aggrappata a un vecchio modello di funzionamento, mentre in altre realtà, soprattutto all’estero, le Università sono potenti e attivi momenti di promozione economica dei territori.
La Liguria assomiglia sempre più a una bella addormentata, vive con la nostalgia di un ricco passato, invecchia e rischia di diventare terra di seconde case per anziani padani.
Articolo scritto dalla redazione de La voce del Circolo Pertini
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