Quando si parla di discariche, solitamente le prime immagini che ci ritornano alla mente sono quelle di disastri e mafie, illeciti e terre dei fuochi, senza considerare che non sono nient’altro che lo spazio all’interno del quale si riversa il nostro modello di sviluppo.
Le nostre scelte quotidiane che, in maniera diretta o indiretta, trasformano in elementi da “dimenticare” i prodotti che sinteticamente definiamo rifiuti.
La discarica di Scarpino è però qualcosa di più.
Ad oltre 650 metri sul livello del mare, è la discarica collocata più in alto d’Europa, lontana dagli occhi, lontana dal cuore, ma tremendamente e pericolosamente a ridosso di Sestri Ponente, in una valle ricca di fonti d’acqua.
Scarpino 1 e poi 2 e poi 3. Così si riconoscono le fasi di espansione di questo impianto che dal lontano 1968 accoglie i rifiuti genovesi e liguri, con momenti di disponibilità per le emergenze nazionali e, se non ci fossero stati gli “imprevisti” del 2014, tenuta aperta fino al 2040.
Ma vennero i cambiamenti climatici, e con le forti piogge concentrate, che ormai quasi ogni anno colpiscono i nostri territori, il terreno è sempre più fragile e necessita di maggiori interventi.
Nel gennaio del 2014 la magistratura ne impone la chiusura definitiva a causa della fuoriuscita del percolato, che si riversava nel torrente Cassinelle, provocando importanti danni ambientali.
Le indagini, che seguirono, misero alla luce le inadempienze originarie che pagheremo per decenni nelle nostre bollette. Nessun accantonamento per la messa in sicurezza e la bonifica, con l’obbligo di risolvere il più velocemente possibile tutti i problemi storici gestionali della discarica sempre stata vista più come un buco dove gettare tutto e fare cassa, anziché trattare quel luogo con le dovute attenzioni, perché fondamentale per la nostra comunità.
Solo fino a poco meno di dieci anni fa, nell’organigramma di AMIU la voce Raccolta differenziata era collocata sotto la casella Comunicazione e Immagine e mi pare la dica lunga sulla volontà di ridurre la quantità di materiale da gettarvi per allungarne la vita. Perché il grande business era costruire il mega inceneritore da 500 mila tonnellate annue per tutta la regione, e non solo, con palificazioni proprio dentro la discarica. Così, oltre al percolato, ci saremmo trovati in fondo valle anche i cantieri o l’impianto stesso.
Oggi, spero, siamo lontani da quella visione.
Abbiamo l’opportunità del Green New Deal europeo per creare una filiera industriale 4.0 ligure, che tratti il materiale da raccolta differenziata, in modo da reinserirlo nei processi produttivi risparmiando materia prima, acqua ed energia.
Riprogettare gli imballi, al fine di ridurne i volumi e semplificare il riconoscimento del materiale per l’impianto di trasformazione finale.
Un nuovo modello industriale, insomma, che porterebbe nuova occupazione in un contesto ambientalmente sostenibile. Tutto questo a ripartire dalla discarica di Scarpino.
Enrico Pignone, Consigliere Comunale di Genova Lista Crivello