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Violenza di genere in Liguria: troppe donne non hanno ancora una voce

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Tempo di lettura: 5 minuti

Nel 2021, la violenza di genere è una problematica più che mai attuale. I numeri in Italia sono allarmanti e mostrano un notevole aumento di segnalazioni e vittime a partire dal primo lockdown dell’anno scorso. Secondo l’ISTAT, infatti, le chiamate al 1522 hanno subito una crescita esponenziale nella prima fase di chiusura. Questo dato ha poi iniziato a decrescere solo durante graduale riapertura dal 4 maggio in poi.

Nello specifico, dal 1° marzo al 16 aprile 2020 sono state effettuate ben 5.031 telefonate al 1522, circa il 73% in più rispetto al 2019. Anche il numero di vittime accertate è drammaticamente aumentato durante la pandemia, toccando quota 12.833 al 30 ottobre 2020. Questo dato in particolare evidenzia l’aggravamento della situazione in appena un anno. Nel 2019, infatti, il numero di donne che avevano subito violenze domestiche o stalking si aggirava intorno alle 8647 unità.

Dati Istat violenza

Tra le principali ragioni delle chiamate del 2020 sono state le richieste di aiuto di vittime di violenza, circa il 35,9%, casi di stalking (4,1%), domande di vario genere sui centri antiviolenza attivi sui diversi territori (15,2%), segnalazioni dei casi di violenza (8%) e telefonate dirette al 1522 (20,4%).

La violenza segnalata al 30 ottobre è stata soprattutto fisica (52% dei casi), seguita da quella psicologica (35,6%), sessuale (6,1%), generica (5,9%), minacce di vario tipo (3,5%), economiche (1,3%), sessuali (1,2%) e mobbing (0,3%). Il restante 1,5% appartiene infine a quelle vittime che non sono riuscite a trattenersi al telefono.

La maggior parte delle segnalazioni si fermano al primo contatto telefonico (circa il 93,5%), mentre solo il 7,5% di esse si ripete più volte. In questo caso, si tratta soprattutto di persone che hanno subito molestie di natura sessuale o mobbing.

Aumentano le violenze familiari

Sale anche il numero di richieste di aiuto di ragazze fino a 24 anni di età (11,8% nel 2020 a differenza del 9,8% nel 2019) e delle donne Over55 (23,2% nel 2020 mentre nel 2019 erano circa il 18,9%). Sono state inoltre 20.525 le donne che hanno contattato Centri antiviolenza (CAV) durante i primi cinque mesi del 2020.

Per quanto riguarda i carnefici, l’indagine ISTAT ha mostrato un significativo incremento le violenze di familiari (18,5% nel 2020 rispetto al 12,6% del 2019) mentre quelle compiute da partner fissi si sono dimostrate stabili (57,1% nel 2020).

Dati Istat violenza di genere

Nel 2020, anche il numero di telefonate interrotte anticipatamente ha subito un incremento significativo. Questo dato preoccupante evidenzia la difficoltà di una vittima di violenza domestica nel restare a telefono senza incorrere nella follia del partner. Il 90% dei casi appartiene purtroppo all’ambito casalingo e la convivenza forzata dalla pandemia con il proprio carnefice può aver innescato la spinta a chiedere aiuto.

Lo dimostra l’aumento di chiamate da soggetti che vivevano situazioni del genere già da mesi ma che non avevano avuto la forza di denunciarle prima. Nella maggior parte dei casi, infatti, ci si trova davanti ad una violenza che si ripete da anni (67,7% nel 2020) o da mesi (21,9%). Pochi sono invece i casi in cui si parla di episodi sporadici (6,1%) o di eventi singoli ed unici (4,4%).

Le conseguenze della violenza di genere

Tra le tipologie di violenza duratura nel tempo spiccano quella fisica, psicologica ed economica. Le conseguenze sono altrettanto devastanti e solo il 7% delle donne vittime di molestie e mobbing non teme un pericolo imminente per la propria incolumità. Al 2020, infatti, circa il 34,1% ha paura di subire danni gravi, il 19,6% soffre di attacchi di panico ed ansia, il 4,7% teme per i propri cari ed il 4,4% ha addirittura il terrore di poter essere uccisa.

Anche i figli rientrano tra le vittime dirette della violenza di genere in ambito domestico (circa 100 individui nel 2020). Nel 48% dei casi, i più piccoli hanno assistito a questi episodi e nel 10% hanno subito la follia del genitore di sesso maschile. Tra le conseguenze dirette sono state riscontrate crisi d’ansia e senso di inquietudine (50%), assunzione di atteggiamenti protettivi ed “adultizzati” verso il parente colpito (10%) ed aumento considerevole di aggressività (10%). Decisamente minore il numero di figli che sfogano la propria insoddisfazione sui genitori (25 casi).

Effetti su figli minori

Proprio questo aspetto risulta cruciale nell’ambito della violenza di genere. Secondo un’indagine condotta dell’Unione europea delle cooperative (Uecoop), circa il 21,9% dei carnefici ha infatti vissuto o subito episodi analoghi durante la propria infanzia. Per prevenire situazioni del genere in futuro risulta dunque necessario intervenire nel presente anche a tutela dei più piccoli. Solo in questo modo si può evitare che la violenza venga tramandata di padre in figlio.

La paura di denunciare

La maggior parte delle vittime non denuncia le violenze subite alle autorità. Nel 2020, solo il 14,2% ha avuto la forza di farlo (1.317 vittime), il 2,7% ha subito ritirato la denuncia temendo ritorsioni (249 vittime) ed il 35,3% è tornato a vivere con il proprio carnefice. Una percentuale preoccupante che evidenzia le conseguenze devastanti da questi atti vergognosi ed inumani sopracitati. L’83,1%, invece, non ha segnalato la propria situazione. Ciò che dovrebbe far riflettere è che nel 2019 questa porzione di vittime era circa il 79,7%.

Le ragioni di questa mancata denuncia sono legate all’effetto domino che potrebbero generare in famiglia (circa il 23%), alla paura (14,5%) ed al timore di una reazione violenta della bestia (15,6%). A queste si aggiungono l’incertezza sul percorso post-segnalazione (6,6%) e la poca fiducia nelle Forze dell’Ordine che, nel 5,5% dei casi, hanno addirittura sconsigliato di sporgere denuncia.

L’identikit della bestia

Circa il 58,4% delle segnalazioni all’ottobre 2020 indica il partner attuale come autore della violenza domestica, seguito dall’ex (15,3%) e da partner occasionali (0,6%). Il restante 5,9% comprende “amici”, colleghi e conoscenti, mentre “solo” per lo 0,9% gli artefici sono sconosciuti. Il 18,8% è stato vittima di membri della famiglia con il 34,8% dei casi in cui chi subisce ha tra i 18 ed i 24 anni.

Segue la categoria 25-34 anni (24,6%), specialmente di sesso femminile (90% delle situazioni). La violenza da parte dei figli ha colpito nel 39,4% dei casi genitori anziani over65 e nel 25,7% la fascia tra 54 e 65 anni. Anche in questo caso, il 93% delle vittime è donna.

Per la maggior parte, chi si macchia di violenze di genere è un maschio. La percentuale del 2020, pari al 91,8%, è risultata in calo rispetto al 2019 in cui comprendeva il 94,1% dei soggetti segnalati. La variazione non risulta influenzata dall’incremento delle violenze compiute da donne (6,8% nel 2020 mentre nel 2019 era il 5,7%), bensì all’aumento della cosiddetta modalità “sesso sconosciuto” che dallo 0,2% del 2019 è diventato l’1,4%.

Il problema delle spose bambine

Un’altra grave piaga che negli ultimi anni sta venendo alla luce in Italia (circa 2000 casi) è quella delle spose bambine. Di questa tematica specifica si occupa l’associazione della dottoressa Michela Aruni Biolcati. In particolare si tratta di due organizzazioni inizialmente specializzata in abusi e bullismo su disabili e soggetti autistici che collaborano con una terza che si occupa di violenza di genere.

Già responsabile dell’Associazione nazionale persone autistiche (A.N.P.A. onlus), la dottoressa Biolcati è anche Presidente della sezione della Regione Toscana. Formatrice professionale iscritta all’albo e consulente scolastica specializzata in disabilità, autismo e disturbi dell’apprendimento, ha fondato percorsi di formazioni anche fuori regione. Nello specifico, i territori toccati finora oltre alla Toscana sono stati la Puglia, la Sicilia e la provincia di Torino.

In Piemonte, in particolare, vanta un’importante collaborazione con La Rete di Atena, associazione che si occupa di violenze di genere ed in senso lato. Il lavoro di prevenzione sul tema delle spose bambine è stato pertanto portato avanti dal team composto dalla dottoressa Biolcati, dalla Presidentessa della Rete di Atena, la dottoressa Julia Marzocchi, e dal responsabile territoriale, il dottor Luca Mantio.

Razzismo e pregiudizi non aiutano

Una persona, soprattutto se di colore, arrivata in Italia deve affrontare innumerevoli difficoltà aggiuntive oltre alla violenza subita. I pregiudizi e gli episodi di razzismo di molti italiani, infatti, rendono ancor più problematico intervenire nei casi in cui una prostituta arriva in Italia dopo essere stata venduta come possibile sposa bambina nel suo paese.

Pur avendo avuto la “fortuna” di essere in un paese in cui i casi sono ancora molto ristretti, la vittima ha spesso subito una duplice violenza, prima domestica e successivamente psicologica. Ciò rende dunque necessaria l’elaborazione di un percorso di aiuto finalizzato al suo inserimento in un contesto protetto. Nonostante ciò, la donna rimane ancora vittima di stalking da parte di persone che l’avevano circondata in passato, soprattutto se la sua storia è nota e viene ampiamente diffusa dalla cronaca mediatica.

Molte altre sono invece vittime del silenzio, persone che si chiudevano in casa per paura che lo stalker potesse far loro del male. Questa problematica è stata accentuata dall’aumento di casi di cyberbullismo, tematica nei cui confronti le autorità continuano ad essere eccessivamente superficiali. Anche di queste problematiche, l’associazione della dottoressa Biolcati agisce in sinergia con la Rete di Atena.

Le modalità d’aiuto

Le tre associazioni stanno curando una campagna di sensibilizzazione sulle spose bambine per poi creare un percorso formativo a tema nel mondo scolastico. A tal proposito, è interessante notare quanto i bimbi siano interessati ad argomenti di questo genere durante corsi e seminari. In molti casi, infatti, si dimostrano molto più svegli ed attenti rispetto agli adulti.

Essendo presenti sul territorio di diverse regioni, danno la possibilità, soprattutto a vittime molto giovani, di parlare e raccontare le proprie esperienze attraverso corsi di formazione ed incontri scolastici. Il tutto avviene nel totale rispetto della privacy e dell’anonimato.

Ad esempio, i ragazzi possono mettere un biglietto nell’apposita cassetta posizionata nell’istituto per poi essere ricontattati dall’associazione. É inoltre pubblicato il numero dell’organizzazione e l’indirizzo e-mail della dottoressa Biolcati per permettere a tutti di entrare a contatto con le operatrici e ricevere supporto.

La situazione in Liguria

Ancora troppi casi

Nonostante la lenta diminuzione di segnalazioni ai Centri antiviolenza registrata nell’ultimo triennio, il numero di donne vittime di violenze di genere è ancora troppo alto. Dai dati pubblicati dalla Regione Liguria, nel 2020 sono state 801 le richieste di aiuto ad essere prese in carico. Di queste, 67 nell’Imperiese, 74 in provincia di Savona, 96 nel territorio della Spezia, 72 nel Chiavarese e 492 in provincia di Genova.

L’età media è compresa, per il 31%, tra i 40 e i 49 anni e per il 24% nella fascia 30-39. L’andamento nel 2020 si è confermato in linea con quello degli anni precedenti mentre è in aumento la percentuale di vittime italiane (71% contro il 65% del 2019). Il 37% dei casi riguarda donne coniugate, il 28% soggetti nubili, il 18% donne separate o divorziate, il 2% vedove, mentre nel 15% delle situazioni non è stato rilevato alcuno stato civile.

Dal punto di vista lavorativo, la maggioranza delle vittime ha un’occupazione stabile, mentre solo il 20% è disoccupata. Solo nel 6% dei casi si tratta di studentesse. Questo dato dimostra che l’autonomia economica non rappresenta una difesa e che anche i luoghi di lavoro possono essere scenari di violenze e molestie.

I dati dell’Imperiese

Nella provincia di Imperia, secondo i dati forniti dal Centro Antiviolenza ISV, sono circa 99 le segnalazioni. Tra queste, 93 hanno sostenuto almeno un colloquio e 67 sono state prese in carico. In queste situazioni le esperte hanno elaborato un percorso di fuoriuscita dalla violenza subita attraverso una consulenza legale, sostegno psicologico, aiuto nel raggiungere una propria autonomia economica e la collocazione in strutture protette.

La situazione in provincia di Chiavari

Anche nel territorio di Chiavari, l’incremento di segnalazioni nell’ultimo anno si è dimostrato in linea con l’andamento regionale. Secondo il materiale fornito dal Centro Antiviolenza locale, TelefonoDonna, le donne che hanno lanciato un allarme nel 2019 sono state 96 mentre nel 2020 sono stati registrati 111 contatti. Numeri in continua e drammatica crescita che, da gennaio ad aprile 2021 hanno compreso altre 40 richieste di aiuto.

Per il Centro chiavarese, avendo una convenzione con le strutture sanitarie locali, è significativo anche il dato relativo alle donne giunte al pronto soccorso: ben 5 nel 2019, mentre nel 2020 sono scese a 2. Nell’anno in corso, fortunatamente, non si sono ancora registrati interventi di questo tipo.

Un altro grande vantaggio è quello di disporre, all’interno del pronto soccorso, di una stanza in cui la vittima può stare in OBI (osservazione breve intensiva), dove vengono attivate procedure specifiche a seconda della violenza subita. A causa del lockdown, però, questo spazio è stato dedicato ai pazienti affetti da Covid19 e ciò potrebbe essere stata la causa di una minore affluenza.

Inoltre, le donne che hanno abbandonato il percorso sono state 18 nel 2019, quindici l’anno successivo e appena 2 fino allo scorso aprile. Le vittime che invece si sono presentate al Centro con figli minori nel 2019 sono state 44, dato in diminuzione progressiva nel 2020 (circa 43) e nel 2021 (21 fino ad aprile).

I casi da Andora a Noli

Nel ponente ligure, il Centro Artemisia Gentileschi svolge un’importante attività sia come sportello (dal 2011) sia come punto Antiviolenza (dal 2019). E’ possibile fissare un primo colloquio tramite telefonata effettuata esclusivamente dalla vittima e non da familiari o amici. Tutto si svolge nel totale anonimato e nel rispetto della privacy.

Attraverso successivi incontri si cerca di individuare il problema e le difficoltà riscontrate dalla donna, strutturando una strategia specifica di aiuto. Il Centro, diretto dalla Dottoressa Catterina Giraudo, offre anche consulenza legale e psicologica, collaborando con Pronto Soccorso, Forze dell’Ordine e Servizi Sociali. Nei casi urgenti, il modus operandi è più veloce e prevede un rapido coinvolgimento degli enti sopracitati.

Nell’arco degli anni, le volontarie hanno offerto assistenza a numerose donne con problematiche diverse riuscendo, nella maggior parte dei casi, a risolvere anche legalmente le loro situazioni. A tal fine, la Casa Rifugio di Savona si è spesso rivelata un alleato fondamentale per proteggere le vittime in un ambiente sicuro. Purtroppo, negli ultimi anni l’area monitorata dal Centro Artemisia Gentileschi è stata teatro di quattro femminicidi.

La situazione nel genovese

Il capoluogo ligure si conferma dunque teatro principale di questi eventi vergognosi. Sono state circa 100, infatti, le donne che hanno inviato le proprie segnalazioni nel 2020. Nonostante ciò, l’instancabile attività di associazioni antiviolenza come il Centro Pandora si sta dimostrando cruciale per contrastare questo drammatico aumento di casi.

Attive dal 2007 nella sede centrale a Mignanego, le volontarie hanno puntato sulla capillarità, cercando di essere presenti su tutto il territorio genovese. L’apertura di sportelli distaccati in Val Polcevera e nella Valle Scrivia si è dimostrata la fondamentale per attuare questa strategia che permette ad un numero maggiore di donne di entrare in contatto con il centro.

L’associazione vanta anche una fondamentale collaborazione con una cooperativa impegnata nella difesa e nel sostegno di vittime minori, dato in drammatica crescita negli ultimi anni. La Mignanego Cooperativa sociale Onlus e la Cooperativa Sociale ASCUR Onlus, in questo ambito, cerca di diffondere cultura dell’infanzia e promuovere i diritti dei/lle bambine e dei/lle ragazzi/e attraverso la creazione di sportelli di ascolto.

A tal fine risultano fondamentali i laboratori sull’educazione di genere e la prevenzione della violenza organizzati nelle scuole di ogni ordine e grado. Si configurano come uno spazio dedicato dove affrontare problematiche riguardanti lo sviluppo evolutivo, la gestione delle emozioni e dei conflitti.

Come inviare una segnalazione

Chi volesse contattare le volontarie della Valle Scrivia, può farlo il venerdì mattina, mentre a Casella sono regolarmente attive tutte le mattine. L’accesso può essere autonomo diretto, quindi recandosi fisicamente presso uno sportello, oppure telefonico, contattando il 1522 (h24), numero nazionale contro la violenza di genere.

C’è anche la possibilità di rivolgersi al cellulare di servizio (+39 3452653083) attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 18. In molti casi, infine, le vittime sono indirizzate da centri di ascolto ed altri servizi pubblici. Gli orari settimanali della sede di Via Piccone 13/2 Genova – Certosa sono i seguenti:

  • lunedì e venerdì (9:00-13:00)
  • martedì e mercoledì (9:00-13:00 / 14:00-18:00)
  • giovedì (9:00-13:00 / 14:00-19:00)

Come opera il Centro?

Il modus operandi adottato dal Centro Pandora consiste in un primo ascolto seguito da un’attenta analisi dei bisogni della donna. Dopo circa una settimana, le esperte fissano un secondo appuntamento per studiare la strategia adatta nello sportello a lei più vicino o più comodo per mantenere la privacy. La scelta della sede è completamente a discrezione della vittima e spesso essa ne preferisce uno lontano dalla propria residenza in modo da custodire la segretezza e l’anonimato.

Le figure che operano a sostegno delle donne sono di vario tipo: psicologhe, mediatrici interculturali, legali, psicoterapeute, orientatrici al lavoro, pedagogiste ed assistenti sociali offrono consulenze ed accompagnano le vittime in maniera completamente gratuita. Le risorse economiche per il Centro provengono da contributi istituzionali, entrate progetti, formazione, attività promozionali e culturali, donazioni liberali e/o derivanti dal 5 per mille o da quote sociali.

In base alla situazione, il primo step consiste dunque nell’elaborazione di un percorso di sostegno psicologico. Successivamente, il soggetto viene gradualmente inserito nel mondo del lavoro attraverso servizi di orientamento in sinergia con la Regione Liguria. Le operatrici e le volontarie del Centro sono formate ad agire nel totale rispetto della riservatezza delle informazioni di cui vengono a conoscenza.

L’impegno durante il lockdown

Durante le prime fasi della pandemia, per ovviare all’impossibilità di un contatto diretto in sede con le richiedenti aiuto, le operatrici hanno mantenuto in funzione un sostegno telefonico. Naturalmente, nei casi più urgenti, le operatrici hanno avuto la possibilità di attivare servizi di pronto intervento. Le donne rivoltesi al centro cercavano di ritagliarsi momenti di “evasione” per contattare telefonicamente gli sportelli finché le restrizioni  anti-COVID erano attive.

Molte, ad esempio, sfruttavano le poche uscite permesse chiamando le volontarie quando portavano il cane a spasso. Questo collegamento telefonico, inoltre, è rimasto attivo anche dopo la Fase 1 del primo lockdown, con percorsi seguiti meticolosamente nonostante la distanza. Con la riapertura totale del paese, le volontarie hanno riaperto tutti gli sportelli fisici, riprendendo la propria attività a pieno regime.

Anche i servizi di orientamento sono stati erogati telefonicamente attraverso un costante sostegno psicologico e l’elaborazione di percorsi volti ad inserire in futuro le donne nel mondo del lavoro cercando di individuarne e valorizzarne capacità ed inclinazioni durante la seduta telefonica.

Discorso analogo per le consulenze degli avvocati, rigorosamente a distanza durante il lockdown ma in costante e diretto contatto con forze dell’ordine ed altri enti statali per tutelare la sicurezza delle vittime ed intervenire nei casi al limite. Questa sinergia, in particolare, è stata sempre puntuale e tempestiva nonostante le difficoltà dovute alla chiusura totale del paese.

Le tipologie di violenza

Per la maggior parte dei casi, la stessa donna subisce diverse forme di violenza. Si parte principalmente da atti di natura psicologica quali insulti, plagi, mobbing, ricatti, minacce e stalking per poi passare a gesti di natura economica. Tra questi spiccano il controllo dello stipendio oppure l’assunzione di azioni a nome della donna a sua insaputa o contro la sua volontà. Altrettanto diffusi sono, purtroppo, i casi di violenza fisica, mentre si confermano minori gli stupri o i tentativi di stupro.

Dati Regione Liguria violenze subite

L’indagine ha evidenziato che non si tratta di episodi unici o isolati, bensì di atteggiamenti ed azioni ripetitive e durature. Quasi la metà delle situazioni segnalate, infatti, avviene da più di 5 anni (47%) o è compresa tra 1 e 5 anni (23%). Solo il 3% delle 801 casistiche prese in considerazione può essere definito un evento singolo. Dunque è necessario smettere di giustificare o sminuire l’entità di questi comportamenti inumani definendoli semplici “perdite di controllo”.

Le iniziative a sostegno delle donne

Esistono innumerevoli eventi per rilanciare e reinserire in ambito lavorativo le vittime di violenza di genere. In molti casi, le iniziative sono organizzate da enti pubblici, come nel caso del progetto “Una vela per la donna” promosso dagli Assessorati alle Pari Opportunità e relativi Diritti ed alle Politiche Sociali e Giovanili del Comune di Genova insieme all’Assessorato allo Sport e impianti sportivi del Comune di Loano.

L’evento, presentato lo scorso 19 giugno al Porto Antico di Genova nell’ambito della The Ocean Race Europe, ha dato la possibilità alle vittime di violenza di genere di trascorrere una giornata in barca a vela in modo gratuito. In totale sinergia con i Centri antiviolenza e le case protette, l’iniziativa ha permesso alle donne di vivere un momento di benessere e svago.

Nella prima settimana di settembre, inoltre, le Leghe Navali di Genova e di Loano offriranno al pubblico l’opportunità di escursioni giornaliere in vela dietro un piccolo contributo. I Centri antiviolenza del territorio riceveranno integralmente la cifra raccolta ed attiveranno borse di lavoro o studio. “Lo sport è da sempre la via maestra per riscoprire le proprie energie interiori e la propria autonomia, sono quindi veramente felice che si possa offrire questa opportunità a chi è stata vittima di violenza“, queste le parole di Giorgio Viale, assessore alle pari opportunità del capoluogo ligure.

Alessandro Gargiulo

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Anacaprese trapiantato prima ad Udine e poi a Genova, coltivo la passione per la scrittura e il giornalismo fin da piccolo. Come un vero e proprio girovago, sono giunto in città per frequentare il corso di Informazione ed Editoria ed inseguire il mio sogno. Autentico malato di calcio, ho la fortuna di poter raccontare lo sport su LiguriaDay. Mix vincente tra Cannavacciuolo e Adani, spero in una carriera in cui potermi occupare soprattutto di calcio femminile.

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