In base all’indice di sofferenza economica regionale di Demoskopika, la Liguria è una delle cinque regioni italiane più colpite dalla pandemia. Dato che si innesta nella tendenza all’allargamento delle disuguaglianze, in ascesa da tempo nel nostro Paese: se oggi lo 0,1% più benestante possiede il 10% della ricchezza complessiva, il 50% più povero è scivolato al 3,5%. Nel 1995 le rispettive quote erano 5 e 12.
Infatti una recente ricerca dell’associazione Genova che osa ha messo in evidenza che «in un’economia che permane in una fase prolungata di stagnazione, non solo il reddito medio continua a diminuire ma la sua distribuzione è sempre più diseguale. Il 5 per cento dei più ricchi dichiara il 21 per cento di tutto l’imponibile, a fronte del 27 per cento dei più poveri che arriva al solo 6 per cento dell’ammontare complessivo».
Fenomeno in costante aggravamento, sia per quanto riguarda la povertà assoluta, sia per quella relativa; in cui cresce il numero di nostri concittadini che stanno avvicinandosi alle soglie dell’indigenza.
Un mutamento della composizione sociale tradotto nella contrazione del ceto medio nel nostro paese, in atto da un quarto di secolo, e aggravato dalla pandemia in corso.
Se alla fine degli anni Novanta gli italiani che si riconoscevano nella parte mediana della società era il 70%, dopo un ventennio di crisi erano calati al 40% e ora – grazie al Covid-19 – si riducono ulteriormente al 30%.
Per quanto riguarda lo specifico regionale ligure, un trend è ancora in attesa di essere esplorato grazie a indicatori attendibili.
Ma che si percepisce in costante espansione, a partire da pur rozze constatazioni degli effetti indotti. Che rivelerebbero la graduale scomparsa di quella piccola e media borghesia creata da un secolo di espansione economica, che si declinava in benessere diffuso e maggiore inclusione.
Infatti basta una semplice passeggiata nel centro di Genova per averne conferma. Ossia la scoperta che buona parte dei negozi che fornivano simboli di status alla città delle professioni hanno chiuso i propri battenti per mancanza di clientela. Tanto per fare qualche nome: Pescetto e Forni in via Roma, Bonino in via XX Settembre, Berti e la Rinascente in Piccapietra.
Ossia i fornitori di un pubblico composto dalle famiglie di avvocati, commercialisti e piccoli imprenditori, la cui capacità d’acquisto è stata falcidiata dall’incepparsi delle tradizionali locomotive economiche d’area: il porto e le grandi fabbriche partecipate dallo Stato.
PierFranco Pellizzetti
articolo scritto dalla redazione de La voce del Circolo Pertini