Parte oggi la nostra rubrica “Soundcheck” che si occuperà di musica attraverso recensioni, approfondimenti, eventi e opinioni sulle canzoni che accompagnano le nostre vite.
Uno sguardo sulla Liguria partendo dai suoni, invece che dalla vista. Ogni due settimane non perdete l’appuntamento musicale per curiosi, appassionati e maniaci della Musica con la M maiuscola!
E inevitabilmente, ad aprire le danze non poteva che essere il Festival di Sanremo, in un’edizione – quella del 2021 – che, è inutile dirlo, non è stata affatto come le altre…
Un Festival di Sanremo atipico, difficile e in un contesto pandemico che ha impedito l’accesso al pubblico.
Sedie vuote e palloncini. L’assenza degli spettatori ha reso tutto diverso. Anche in questa era dove tutto è digitale, in cui i social network spopolano, anche la realtà virtuale si è arresa di fronte alla platea deserta del teatro Ariston.
A febbraio il Comitato tecnico-scientifico ha dato il via libera alla 71esima edizione del Festival di Sanremo ed è partita la kermesse canora più limitata di sempre, tra stringenti misure anti-Covid.
Le sedie vuote non sono state l’unica peculiarità di questa edizione, ma anche gli ospiti non si sono potuti abbracciare, i mazzi di fiori in un carrello igienizzato e gli assembramenti al di fuori del teatro si sono dovuti drasticamente ridurre. L’immagine simbolo di queste assenze sono stati i palloncini al posto delle persone, una presenza colorata che ha rafforzato la necessità del pubblico, degli applausi e dei fischi.
Tristezza per favore vai via. Amadeus e Fiorello però non si sono rassegnati al clima di incertezze e hanno provato a fornire un prodotto apprezzabile da più generazioni. La presenza di Ibrahimovic ha avvicinato i giovanissimi al Festival e la capacità di intrattenere il pubblico degli ospiti ha cercato di togliere l’alone di tristezza, come cantava (ahimè) 54 anni fa Ornella Vanoni.
Negli occhi dei protagonisti sul palco si notava però uno smarrimento, una ricerca di consenso reciproco per avere un feedback della propria performance e mi hanno ricordato la sensazione che tutti noi abbiamo imparato a provare durante una riunione su Zoom o una call a distanza. La mancanza di un riscontro fisico con il nostro interlocutore ha inciso su alcune certezze che avevamo e il Festival di Sanremo è stato anche in questo, ancora una volta, uno specchio della società.
Diversità che non sempre è ricchezza.
A distanza di due mesi si può tracciare un bilancio delle canzoni di Sanremo 2021, per non fermarsi al primo ascolto. Il cast di voci più variegato degli ultimi anni ha portato di tutto: dal rock all’urban contemporaneo, dal pop all’indie, passando per il rap, il soul e la tradizione. Stavolta però la varietà non è stata sinonimo di qualità, anzi sotto questo aspetto ho trovato una povertà di idee. Senza pregiudizi per Orietta Berti o Bugo, senza guardare Spotify o ascoltare la radio, ho provato ad analizzare le canzoni e ho trovato cinque brani validi da consegnare ai posteri.
Ecco i prescelti del Festival di Sanremo 2021:
1. “Musica leggerissima” di Colapesce Dimartino.
È la vera vincitrice di questa edizione del Festival di Sanremo, qualità e serenità. Canzone pop orecchiabile con un testo che parla di depressione, della pandemia, della mancanza dei concerti e figli alcolizzati. Ogni volta che la sento, provo la nostra fragilità e quel buco nero evocato, è proprio l’abisso davanti a noi:
“Metti un po’ di musica leggera
Nel silenzio assordante
Per non cadere dentro al buco nero
Che sta ad un passo da noi, da noi più o meno”
Ma chi sono questi due? Colapesce è in realtà Lorenzo Urciullo, siciliano come Antonio Di Martino e trovano il perfetto mix delle loro carriere indie in un brano pop.
Prendono in mano i nostri cuori, svelano in una canzone l’animo ottimista e travagliato quando abbiamo scritto (almeno una volta): Andrà tutto bene!
2. Madame “Voce”
Brano urbano, notturno con alcuni passaggi incerti, momenti grezzi eppure tanta sensibilità. Francesca Calearo è una ragazza della provincia vicentina nata nel 2002 che sta provando a crearsi un personaggio. Si è dichiarata bisessuale e ha denunciato atti di bullismo negli anni scolastici. Lungi da me entrare nella vita privata, però in quanto tale forse potrebbe restare in una sfera lontana dalle pagine di Repubblica e concentrarsi sulla musica.
Al termine della kermesse si aggiudica il Premio Lunezia per il valor musical-letterario del brano e il Premio Sergio Bardotti per il miglior testo.
3. Irama “La genesi del tuo colore”
È il brano che rappresenta il Festival ai tempi del Covid meglio di qualsiasi altro. Filippo Maria Fanti aka Irama è stato infatti costretto a guardare dal divano la sua performance registrata a causa della positività di un membro dello staff. Non capita di rado di vedere protagonisti dei talent come Amici o X factor e il nostro è proprio uno di questi, ma la canzone è vincente. Soprattutto il sapiente utilizzo del vocoder nel ritornello e un interessante senso del ritmo. Piace a mamma e figlio, apre uno spiraglio di comunicazione tra generazioni che qualche tempo fa non era possibile.
A questo punto scendendo dal podio troviamo una coppia di canzoni così lontane e così vicine.
Al quarto posto collocherei i vincitori effettivi del festival di Sanremo, ovvero i Maneskin e al quinto posto Fasma con “Parlami”
4. Maneskin “Zitti e buoni”
Davvero oggi si può vincere il Festival con una canzone con un testo così povero?
“Sono fuori di testa ma diverso da loro
E tu sei fuori di testa ma diversa da loro
Siamo fuori di testa ma diversi da loro”
Non voglio dare troppe responsabilità a questi ragazzi, mi spiace puntare il dito su certi atteggiamenti che per metà ricordano le rock star e per l’altra metà i nipoti birichini di Mara Venier, però hanno del potenziale.
Non voglio caricare sulle loro spalle, quello che la critica sta cercando di fare, ovvero indicare i Maneskin come eredi del rock italiano. Ragazzi, ascoltate uno che se ne intende, basta dichiarazioni del tipo: “Noi vogliamo essere rock al 100%. Per questo ci piace esagerare sul palco, perché è quello di cui la gente ha bisogno adesso.”
Profilo basso perché la canzone funziona e nonostante il testo di una pochezza disarmante, mi piace ma ripeto: attenzione a parlare di rock! Attenzione a parlare di rivoluzioni, quando le vostre facce tradiscono poco o nulla della sofferenza che la ribellione ha in sé.
Non toccate un genere sacro. Non alzate il tiro con dichiarazioni fuori luogo. Mantenetevi in un recinto contemporaneo e credeteci perché le doti ci sono.
5. Fasma “Parlami”
Come il leader Damiano dei Maneskin, Fasma è un ragazzo romano che sulla carta d’identità risulta come Tiberio Fazioli. Lo scorso anno a Sanremo tra le Nuove Proposte mi aveva emozionato con il suo rap accorato e fragile. Aveva presentato infatti nel 2019: “Per sentirmi vivo” e mi aveva convinto. Lo aspettavo così come il favorito del Festival, pur non ponendo il rap tra i miei generi preferiti. “Parlami” è una canzone emozionante che va sul sicuro, replica lo stesso mood di quella dello scorso anno soltanto con più maturità. Il testo è semplice, riesce a mescolare le tendenze urban rap con il cuore della periferia di Roma. C’è solo un timore, la paura che il successo gli faccia perdere quella cifra stilistica genuina. La forza di Fasma è la sua imperfezione, il fiato corto quando rincorre le strofe e il sentimento. Che nessuno tocchi Tiberio, che i complimenti non facciano male al suo spirito.
Cinque tracce, cinque momenti che hanno messo a fuoco la kermesse canora più famosa della penisola.
Cinque spunti di riflessione o per dirla con le parole di Colapesce-Dimartino:
“Metti un po’ di musica leggera
Perché ho voglia di niente
Anzi leggerissima
Parole senza mistero
Allegre ma non troppo”