Speciale 25 Aprile

Speciale 25 Aprile. Ricordare vuol dire non morire

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In occasione della Festa della Liberazione, Liguria.Today inaugura l’inserto “Speciale 25 Aprile“: una raccolta di articoli e approfondimenti sulla Resistenza al regime nazifascista. Perché ricordare la lotta e i sacrifici di tante persone, uomini e donne spesso giovanissimi, che non si sono mai arresi davanti all’oppressore non solo è doveroso verso di loro: è doveroso verso noi stessi. Per poter aprire in tempo gli occhi verso ogni forma di oppressione dei giorni nostri e dire “NO”. Come hanno fatto loro. 

Chiara Biffoni

Direttore Responsabile di Liguria.Today

 

25 Aprile: Ricordare vuol dire non morire

articolo scritto dalla redazione de La voce del Circolo Pertini

 

Ti lascio la mia lotta incompiuta/ E l’arma con la canna arroventata/ Non appenderla al muro. Il mondo ne ha bisogno (Testamento, Kriton Athanasulis)

Mai come ora suonano profetiche alle nostre orecchie forse disilluse le parole che il poeta della Resistenza greca scriveva nel lontano 1957.

Ora, quando perfino nel giorno consacrato al ricordo – il 25 aprile – l’epopea prima di tutto civile dei ragazzi rapidamente fattisi uomini che, con il mitra a tracolla, scesero dalla montagna e liberarono le città dal giogo nazi-fascista, degli operai che nelle città e nelle officine difesero a prezzo della vita i macchinari che avrebbero consentito la ricostruzione, mentre la Wehrmacht intendeva sequestrarli per trasferirli altrove, delle ragazze partigiane che da staffette correvano forse i rischi maggiori, dei parroci e dei civili che protessero gli ebrei nascondendoli nelle loro canoniche e abitazioni per salvarli dalla deportazione, questa straordinaria sequenza ininterrotta di eroismi, durata due lunghi inverni, mai come prima appare vittima di un indecente tentativo di svuotamento e sterilizzazione nei suoi significati più alti e nobili. La cancellazione del suo incancellabile merito di aver salvato l’onore dell’Italia dopo un ventennio mussoliniano in cui si dovette assistere a troppe accondiscendenze e diffusi compromessi opportunistici. A un’adesione al regime spesso per quieto vivere nel Bel Paese del tirar a campare; in cui su oltre 1.200 docenti universitari solo 18 rifiutarono di sottoscrivere il giuramento di fedeltà alla dittatura fascista. L’eterna, furbesca, italica transigenza auto-giustificatoria, già smascherata dall’intransigenza dei pochissimi, spazzata via nella breve stagione resistenziale. Una breve stagione in cui si sognò la rifondazione etica nazionale e che, dopo la Liberazione, presto venne proiettata in una dimensione meramente celebrativa per delimitarne, contenerne e infine metterne fuori gioco le insidiose potenzialità critiche. Il bieco tentativo di trasformarla in una sorta di astorico reperto museale, deprivato della sua forza di irradiamento; vago stendardo da esibire nelle feste laiche comandate.

Eppure ancora gli odierni adepti dell’antica ignominia ne osteggiano le pur flebili celebrazioni denunciandone la natura “divisiva”. Nonostante la settantennale dissipazione di quella epopea, fatta da chi doveva esserne custode. Chi non ha mai contrastato il lavorio corrosivo del principio antifascista che impronta la nostra carta costituzionale, ispirata ai valori della Resistenza.

Ebbene sì. Il ricordo di un’Italia che alzò la testa e volle resistere continua a essere “divisivo”. Se ciò significa distinguere, separare colpe e meriti; se un bullo sfascista – oggi al governo –   può provare a silenziarne il messaggio buttandola sull’irrisione più cialtronesca; ridurla a “un derby tra comunisti e fascisti”. Proprio lui, che in gioventù si impancava a “comunista padano” e ora tresca con tutti i vecchi fascismi balzati fuori dai loro sacelli; rivitalizzati da una stagione che ne ha cancellato l’esecrazione popolare consentendo loro mano libera e nuovi mimetismi, assicurati dall’azzeramento di ogni memoria storica. In questa palude dove la distinzione politica affonda nell’indistinto, per cui perfino Destra e Sinistra risulterebbero categorie antiquarie. Da quando il fronte progressista decise di rinunciare ai propri tratti distintivi per inseguire una Destra che appariva vincente nel nuovo ordine globale finanziarizzato. Quando la Sinistra post-laborista ha incominciato a vergognarsi di se stessa e del suo radicamento sociale nel lavoro, cercando di riciclarsi in caporalato del consenso al servizio dei nuovi vincitori. E ha portato a termine, per quanto le competeva, l’opera di liquidazione della Resistenza iniziata il 22 giugno 1946, quando il guardasigilli Togliatti, nella sua costante ricerca di accreditamento negli equilibri post-bellici, varò l’amnistia dei crimini fascisti. E Pietro Calamandrei dichiarò che «era venuto meno lo stabile riconoscimento della nuova legalità uscita dalla rivoluzione».

Scelta proseguita a sinistra con l’opera di marginalizzazione – graduale quanto costante – delle energie di rinnovamento civile emerse dalla Resistenza. Un formidabile patrimonio di virtù repubblicana e democratica troppo a lungo tenuto in stato di ibernazione. Tanto da far parlare di “Resistenza tradita”. Sorte non diversa da quella che gravò anche sul primo – di Risorgimento – simboleggiata dall’amaro destino delle due principali menti politiche italiane del tempo: Carlo Cattaneo e Giuseppe Mazzini, emarginati nella condizione di stranieri in patria.

Eppure questa Resistenza tradita, irrisa, normalizzata, denigrata continua a vivere nei cuori di chi ancora non rinuncia al sogno di un’Italia diversa. Diversa da una Prima Repubblica precipitata nel buco nero di Tangentopoli, da una Seconda segnata dal marchio d’infamia dell’egemonia berlusconiana, dalla Terza in avvio: troppo inconsistente per fronteggiare la truce barbarie di assatanati mercenari discesi dalle valli per fare bottino. Calpestando valori e decenza per puro e semplice tornaconto.

Mai come ora urge rinnovata resistenza. Per contrapporre in un’opera di verità il coraggio repubblicano e democratico all’oscurantismo della reazione in cerca di rivincite senza prigionieri e alla miserabilità dei giustificazionisti, rapidi quanto condiscendente nell’adattarsi a ogni compromesso pur di sopravvivere. Resistere in attesa di una nuova mobilitazione per nuove lotte di liberazione.

Nel frattempo bisogna ricordare. Perché – riandando ancora al nostro poeta greco – ricordare vuol dire non morire.

Pierfranco Pellizzetti

Copertina: Touring Club Italiano

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