Torta Pasqualina

Si racconta che la Torta Pasqualina piacesse tanto…ai gatti del XVI secolo!

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A grande richiesta e proprio nell’antivigilia di Pasqua, ci apprestiamo a svelare tutti i segreti di una delle ricette liguri più note e apprezzate ben oltre i confini della nostra regione: la Torta Pasqualina!

Si tratta evidentemente della vivanda tradizionale di questa festività, come indicato dal nome che la contraddistingue, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, con il diffondersi della Cuciniera Genovese di Gio Batta Ratto e, successivamente del di lui figlio, Giovanni.

Le origini della Torta Pasqualina

Dovete sapere però che originariamente questa torta salata – che richiede la tipica lavorazione a sfoglie sottilissime e un ripieno di bietole o altre verdure di stagione come i carciofi – aveva un nome assai curioso, ovvero veniva chiamata Gattafura.

La si trova citata per la prima volta in questo modo in un testo del 1548 di Ortensio Lando, che nel suo Commentario delle più notabili, et mostruose cose d’Italia scrisse: “Ma perché certo sono che non farai ritorno nell’amata patria che Genova non veghi, io ti avviso che vi si fanno torte dette Gattafure perché le gatte volentieri le furano e vaghe ne sono, ma chi è sì svogliato che non le furasse volentieri? A me piacquero più che all’orso il miele”.

Ora, ben si comprende che il letterato milanese fosse rimasto impressionato dalla bontà di questa preparazione, ma francamente mi chiedo:

perché mai questa torta di erbe, formaggio e uova dovrebbe piacere o esser piaciuta ai gatti?!?

Vi assicuro che negli anni ho avuto l’onore di condividere il tetto con diversi felini domestici e ho potuto personalmente constatare che amano sottrarre furtivamente – furare, per l’appunto – intere bistecche, polli fumanti o pesci crudi, ma mai e poi mai li ho visti degnare di un solo sguardo alcuna vivanda vegetariana!

Per questo motivo ho voluto approfondire – per me e per voi – l’etimologia dell’antico nome di questa famosissima torta salata che a mio parere non può assolutamente trovare fondamento nella spiegazione fornitaci dal Lando. Ovvero non possiamo credere che Gattafura significhi “la torta che la gatta fura” o ruba. Si tratta sicuramente di uno scherzo linguistico.

Credo invece centratissima la spiegazione che ne da il linguista e filologo tedesco Wolfang Schweickard, che ha osservato come da tempo in italiano, per vari tipi di torte, si siano usate forme che risalivano al francese “gateau” e che uno degli attributi tipici di gateau sia fourré, ossia ripieno. Ed ecco spiegato l’arcano:

Gattafura, altro non è che il termine francese gateau fourré italianizzato, con buona pace di tutti i gattonzoli golosi!

Archiviata pertanto in via definitiva la spiegazione dell’antico nome della torta che oggi per tutti ormai è la Pasqualina, passiamo finalmente a svelare i segreti della sua preparazione, altrettanto, se non più affascinanti dei misteri linguistici che la riguardano.

Tradizionalmente la torta Pasqualina veniva preparata con 33 sottilissime sfoglie o pieghe, un numero scelto non a caso ma per simboleggiare gli anni di Gesù Cristo. Oggi la sfoglia di copertura consta di molti meno strati, per cui eccovi gli ingredienti:

  • 600 g di farina 00 + 2 cucchiai per l’impasto
  • olio extra vergine di oliva della Riviera Ligure
  • 1 kg di bietole dalla costa sottile (oppure 750 g di bietole + 3 carciofi teneri e una cipolla bianca)
  • 100 g di parmigiano grattugiato
  • 100 g di burro fuso
  • 3/4 cucchiai di latte intero
  • 200 g di quagliata (oppure di ricotta con 3 cucchiai di yogurt greco intero)
  • 2 cucchiai di foglioline di maggiorana fresca
  • 5 uova freschissime
  • sale e pepe q.b.

Prepariamo la Torta Pasqualina

Impastare la farina con un cucchiaio di olio, l’acqua necessaria ed un bel pizzico di sale. Lavorare sinché l’impasto non risulti molto soffice. Ricavarne 10 panetti rotondi e disporli su di un panno spolverato di farina. Ricoprirli con altro panno leggermente umido, per evitare che si secchino e farli riposare.

Pulire le bietole togliendo loro la costa, scottarle in acqua salata, scolarle, strizzarle e tritarle grossolanamente. Se decidete di sostituirne una parte con i 3 carciofi – soluzione che personalmente mi sento di raccomandarvi, nonostante tradizionalmente si usassero solo bietole – puliteli da tutte le foglie coriacee, affettatene sottilmente soltanto i cuori e passateli in una padella antiaderente dove avrete leggermente soffritto la cipolla tritata, con poco olio. Quindi bagnateli con il latte, affinché non scuriscano e fate evaporare.

Distribuite le verdure su di un largo piatto da portata e cospargetele con parmigiano grattugiato, la maggiorana tritata ed un pizzico di sale.

Amalgamate in un piatto la quagliata – prescinsêua, in genovese – o la ricotta con lo yogurt, 2 cucchiai di farina e un pizzico di sale.

Tirare con il mattarello 5 sfoglie molto sottili e sovrapporle una sull’altra, ungendole bene, su di una teglia tonda dal bordo basso, ben unta anch’essa. Sopra l’ultima sfoglia che non dovrà essere unta, versare uniformemente le verdure, ungerle e versarvi la quagliata. In quest’ultimo strato formare cinque fossette distanziate e in ciascuna farvi scivolare un uovo appena sgusciato, condendolo con burro fuso, sale, pepe e parmigiano.

Tirare le altre sfoglie e stenderle una per volta sopra il composto, spennellando ciascuna di olio, prima di appoggiare la successiva. Tagliare i lembi in eccedenza delle sfoglie e formare un cordone da appoggiare tutto attorno al bordo. Ungere ancora la superficie della torta.

Infornare a 170° e far cuocere per 40/45 minuti

 

Nota: prima della pandemia avrei scritto di come anticamente si facessero gonfiare le sfoglie, con uno stratagemma non più compatibile con le disposizioni sanitarie attualmente in vigore.

Voglio credere di poterlo fare a dicembre, in occasione dell’uscita del libro che raccoglierà i miei articoli di questi mesi unitamente a ricette più complesse, ma sempre molto dettagliate e precisissime.

Che sia di buon auspicio!

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Info Maria Paola La Magna

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Studi giuridici. Ha svolto attività di PR per i primi 15 anni lavorativi, per poi dedicarsi al settore della Comunicazione nella Pubblica Amministrazione. Per passione è stata una pioniera dell'Home Restaurant a Genova. Il senso della continua ricerca estetica le proviene dal padre, il pittore genovese Raimondo La Magna.

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